Moreno Cedroni: la luce dentro al tunnel

Dopo 35 anni, il cuoco marchigiano non è ancora stanco di innovare. Anzi, rilancia con un avveneristico laboratorio in cui matura rombi chiodati, polverizza ricci di mare e...
A cavallo tra i due millenni andava di moda la vanguardia e tante insegne di cucina d’autore somigliavano a piccoli laboratori. Da cui potevano uscire spiagge commestibili da gustare col verso dei gabbiani sparato nell’iPod (Heston Blumenthal), gelati di carne serviti come contorno (Corrado Assenza), lenti a contatto al cioccolato presentate al posto della piccola pasticceria (Cracco & Baronetto). Ti alzavi da tavola che non era ben chiaro cosa fosse successo.
Ma capire non era poi così necessario: prevaleva, nel cliente, l’euforia dell’inedito, lo stordimento dell’inatteso, un sentimento seguito da una lucida ammirazione per i cuochi che avevano il coraggio di avventurarsi lontani dal conosciuto.

Dopo la crisi della Lehman Brothers (2008), i soldi hanno cominciato a scarseggiare e così anche il tempo dedicato alla sperimentazione. Nel nome del “prodotto da servire così com’è” cominciavano a spuntare tavole un poco più conservatrici, che osavano ma non troppo, ristoranti in cui al massimo regnava una creatività attutita. “Creatividad amable”, l’ha definita con un pizzico di malinconia per i tempi andati proprio colui che scoccò la scintilla, il catalano Ferran Adrià.

In riva all’Adriatico, però, c’era un cuoco che non s’è mai rassegnato a silenziare i suoi alambicchi. Un signore che oggi ha 57 anni, a suo agio da oltre 35 primavere fuori da ogni area di conforto. Un anconetano che ha sempre creduto fermamente che la cucina sia un gesto di libertà, un esercizio mai finito, l’opposto di un copyright, su cui si arenano le cose. Un percorso di trial and error, esattamente come quello che segna le altre scienze del sapere occidentale.
Si chiama Moreno Cedroni e due anni fa ha traslocato dal garage del suo ristorante una montagna di conserve di pesce per far posto, nell’ordine, a: un distillatore Rotavapor, un bagno a ultrasuoni, un liofilizzatore, una rivoluzionaria mantecatrice di gelato e granite, pentole a pressione a scopi fermentativi, celle di maturazione controllata e dio sa cos’altro. Un piccolo Cern della pre-cucina che ha affidato al suo fido secondo Luca Abbadir. L’hanno chiamato Tunnel «perché in fondo c’è sempre la luce».

Si sviluppa qui il passaggio intermedio della nostra “anatomia di un piatto”, anzi, di due piatti che svettano nel menu degustazione della Madonnina del Pescatore 2020 e 2021, una delle insegne del mare (e sul mare) più ambite del paese: Rombo al sale e Penne rigate, burro, ricci e seppia. Un’anatomia in tre passaggi, che ha il suo incipit tra le bancarelle del mercato e il gran finale proprio al tavolo del ristorante di Marzocca di Senigallia.

Estratto di Gabriele Zanatta di "Anatomia di un piatto" del n° 39 di ItaliaSquisita

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