Il valore dell’essenziale: la filosofia culinaria di Alessandro Cerutti

Nelle parole di Alessandro Cerutti — pavese per nascita, siciliano per metà di sangue, lombardo per vocazione — la cucina si dispiega come un romanzo di formazione. Comincia negli anni Novanta, tra i profumi classici di un ristorante di Pavia, sotto la guida di uno chef che per oltre dieci anni gli ha insegnato “le basi”: fondamenta solide, un po’ austere, come le prime pagine di un grande romanzo realista. Poi la Lomellina: risaie, maiale, oca, tradizione contadina trasformata in racconto gastronomico.
Un ritorno a Pavia lo porta a sperimentare la frollatura del pesce, visione forse troppo avanti per alcuni, non abbastanza per Cerutti. «Dicevano che la città non fosse pronta» ricorda. «Forse non lo erano le persone dietro al progetto». Ma i segnali c’erano: giornalisti, ispettori, attenzioni. Semi che oggi germinano nel suo nuovo ristorante, Bruma.



Qui domina un principio rigoroso: usare ingredienti poveri per creare una cucina ricca di tecnica. «Povera non nell’attitudine» chiarisce lo chef, «ma nella materia prima: economica, rispettosa, sincera». Bruma è un laboratorio di autosufficienza: fermentazioni, essiccazioni, garum contemporanei ottenuti dalle interiora di pesce, germogli coltivati in cucina. Un no-waste integrale, quasi ascetico. Simbolo della sua filosofia è la carota “totale”: estratta, fermentata, frullata, cotta dolcemente, grigliata, poi essiccata. Niente si perde, tutto si trasforma: un gesto che ricorda Pavese, tutto è già dentro le cose, basta ascoltarle.
La pasta è un altro filo narrativo. Le memorie della nonna — la “cordaiola”, un sugo crudo di verdure e prezzemolo tritato fino a liberarne la clorofilla — rivivono oggi in salse al nasturzio che abbracciano rigatoni contemporanei. La pasta secca trafilata al bronzo è una presenza costante: precisa, affidabile, fedele come un attore di teatro classico che non sbaglia mai una battuta.
Tra i piatti più amati: i mezzi rigatoni alle vongole, riscritti senza gusci, senza manierismi. Un fondo profondo di vongole, scalogno e aglio orsino, vongole croccanti fritte e una salsa all’escariola che racconta Napoli senza imitarla. Comfort food, sì, ma attraverso un linguaggio nuovo. Accanto a questo, la ricetta sviluppata appositamente per Barilla Al Bronzo diventa un manifesto della poetica di Cerutti: Linguine all’aglio, olio e peperone di Voghera, Burgundella e rognone di vitello stagionato. Un piatto che unisce territorio e radicalità tecnica: il profumo asciutto e dolce del peperone di Voghera, la cremosità elegante del formaggio Burgundella, il rognone stagionato che porta sapidità e profondità umami, come un basso continuo barocco.



Una ricetta che trasforma una pasta iconica della semplicità italiana in un esercizio di equilibrio e memoria, sospesa tra orto, caseificio e macelleria.Per il progetto dedicato alla trafilatura al bronzo, Cerutti lavora anche su un mezzo rigatone ripieno di Anticuchos, gli spiedini peruviani di cuore, legati da una salsa alla cipolla di Breme e da un formaggio dei Burgundi: un ponte narrativo tra Andes e pianura lombarda. Bruma, con i suoi trenta coperti, parla piano ma con una voce inconfondibile. È il luogo dove la povertà diventa ricchezza, dove ogni scarto rinasce, dove una carota, un rigatone o una linguina possono raccontare la storia di uno chef che nella semplicità ha trovato la sua forma più alta di libertà.

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