Il pugliese Fabio Pisani alla conquista di Milano
«Ho iniziato a Molfetta nella scuola alberghiera. La passione è nata tramite mio zio in Francia, che mi ha portato ad Avignone per due anni al relais Château de Montcaud. Io però volevo un tre stelle Michelin! Dovevo tuttavia fare molta gavetta. In Francia ho trovato l’etica professionale e ho appreso le regole fondamentali.
Sentivo ossessivamente che dovevo acquisire le basi. A Parigi da Guy Martin, al ristorante Le Grand Vefour (3 stelle Michelin), sono rimasto due anni e mezzo, all’età di ventun anni: lo chef mi ha visto e apprezzato, e in tre mesi ho avuto il posto di lavoro come responsabile del pesce. Era una cucina molto creativa, basata sulle spezie, mediterranea con radici francesi. Lì ho conosciuto tanta gente e ora ho molti amici sparsi per l’Europa. È anche per questo che credo molto nel rapporto d’amicizia».
Ma la sua determinazione lo porta poi da Michel Roux, al The Waterside Inn in Inghilterra. «Io non sceglievo il posto in base al Paese, ma in base a quello che la cucina mi poteva insegnare. Da italiano pugliese, mi stimolava il fatto di poter andare a imparare i fondi, le salse, le cotture al pelo. M’interessavano sempre e comunque le basi della cucina. Una piramide senza basi non sta in piedi!
Da Michel Roux ci sono stato circa tre anni. In un ristorante bisogna stare minimo due anni: durante il primo s’inizia a capirne la filosofia, e dall’anno successivo in poi si inizia già a creare qualcosa di costruttivo». Poi un giorno lo chef gli chiese: «Ma tu che cucina vorresti fare da grande?» E lui: «Voglio fare una cucina del mio paese».
In quel preciso istante Fabio Pisani ha sentito di voler tornare in Italia. Anche lui allora finisce nelle sagge mani di Nadia Santini: «Ho sentito l’anima e il cuore di una famiglia. Venendo da altre realtà francesi, con altre regole, lì ho capito che la passione è un ingrediente fondamentale». Fabio Pisani è una persona determinata: per lui volere è potere.
« Dal Pescatore sono stato solo un anno e due mesi, perché ho saputo che Aimo aveva bisogno di due persone per portare avanti un progetto gastronomico ben preciso. Andai a mangiare nel suo “luogo” con Alessandro e, guardandoci negli occhi, capimmo immediatamente che sarebbe stata l’occasione della vita.
Quando Aimo parlava mi affascinava, per come descriveva i suoi prodotti. Questo è il ristorante che ho sempre sognato: qualità e classe in un contesto completamente italiano». Legato alla sua terra pugliese, con un nonno abile agricoltore (olive, mandorle, pomodori), Fabio è molto in linea con Aimo e le sue idee integraliste nei confronti della materia prima perfetta.
Il suo contributo è la riscoperta di prodotti eccezionali (grano arso e cicerchia), il continuo movimento sulla ricerca (farina di ceci del Vulture) e i prodotti del territorio.
Sentivo ossessivamente che dovevo acquisire le basi. A Parigi da Guy Martin, al ristorante Le Grand Vefour (3 stelle Michelin), sono rimasto due anni e mezzo, all’età di ventun anni: lo chef mi ha visto e apprezzato, e in tre mesi ho avuto il posto di lavoro come responsabile del pesce. Era una cucina molto creativa, basata sulle spezie, mediterranea con radici francesi. Lì ho conosciuto tanta gente e ora ho molti amici sparsi per l’Europa. È anche per questo che credo molto nel rapporto d’amicizia».
Ma la sua determinazione lo porta poi da Michel Roux, al The Waterside Inn in Inghilterra. «Io non sceglievo il posto in base al Paese, ma in base a quello che la cucina mi poteva insegnare. Da italiano pugliese, mi stimolava il fatto di poter andare a imparare i fondi, le salse, le cotture al pelo. M’interessavano sempre e comunque le basi della cucina. Una piramide senza basi non sta in piedi!
Da Michel Roux ci sono stato circa tre anni. In un ristorante bisogna stare minimo due anni: durante il primo s’inizia a capirne la filosofia, e dall’anno successivo in poi si inizia già a creare qualcosa di costruttivo». Poi un giorno lo chef gli chiese: «Ma tu che cucina vorresti fare da grande?» E lui: «Voglio fare una cucina del mio paese».
In quel preciso istante Fabio Pisani ha sentito di voler tornare in Italia. Anche lui allora finisce nelle sagge mani di Nadia Santini: «Ho sentito l’anima e il cuore di una famiglia. Venendo da altre realtà francesi, con altre regole, lì ho capito che la passione è un ingrediente fondamentale». Fabio Pisani è una persona determinata: per lui volere è potere.
« Dal Pescatore sono stato solo un anno e due mesi, perché ho saputo che Aimo aveva bisogno di due persone per portare avanti un progetto gastronomico ben preciso. Andai a mangiare nel suo “luogo” con Alessandro e, guardandoci negli occhi, capimmo immediatamente che sarebbe stata l’occasione della vita.
Quando Aimo parlava mi affascinava, per come descriveva i suoi prodotti. Questo è il ristorante che ho sempre sognato: qualità e classe in un contesto completamente italiano». Legato alla sua terra pugliese, con un nonno abile agricoltore (olive, mandorle, pomodori), Fabio è molto in linea con Aimo e le sue idee integraliste nei confronti della materia prima perfetta.
Il suo contributo è la riscoperta di prodotti eccezionali (grano arso e cicerchia), il continuo movimento sulla ricerca (farina di ceci del Vulture) e i prodotti del territorio.