Retro... Identità
Due teste, quattro mani, decine di idee, tanti progetti. Fenomeni? Macché! Giuseppe Lo Iudice e Alessandro Miocchi, in arte Retrobottega, tutto sono tranne che fenomeni. Se c’è qualcosa da cui rifuggono e che respingono da sempre con forza è l’originalità a tutti i costi. Il loro, piuttosto, è un lavoro lento e lungo di introspezione, di ricerca dell’equilibrio, di tensione verso il meglio. Ad accompagnarli in questo viaggio evolutivo, la coerenza e la costanza. Anche nella continua e inesorabile crescita e moltiplicazione del loro progetto nulla si è perso o sfrangiato della forte identità di partenza: ottimo rapporto qualità-prezzo, attenzione e rispetto della stagionalità, ricerca meticolosa e oculata di fornitori di fiducia, riduzione di sprechi e scarti nel nome della sostenibilità e una particolare affezione per i tavoli sociali. All’alta artigianalità e tecnica in cucina, esito di esperienze d’eccellenza tra cui quella - comune e prodromica - al Pagliaccio di Anthony Genovese, fatta di piatti cesellati su materie prime di ineccepibile qualità e freschezza, corrisponde in sala, sotto gli occhi, al tatto, una matericità ben pensata e ben disegnata fatta di cuoio, legno, pietra lavica e metallo, una sartorialità senza sconti e compromessi, una sorta di lusso democratico di cui tutti - indistintamente - possano godere.
Due teste, quattro mani, decine di idee, tanti progetti. Fenomeni? Macché! Giuseppe Lo Iudice e Alessandro Miocchi, in arte Retrobottega, tutto sono tranne che fenomeni. Se c’è qualcosa da cui rifuggono e che respingono da sempre con forza è l’originalità a tutti i costi. Il loro, piuttosto, è un lavoro lento e lungo di introspezione, di ricerca dell’equilibrio, di tensione verso il meglio. Ad accompagnarli in questo viaggio evolutivo, la coerenza e la costanza. Anche nella continua e inesorabile crescita e moltiplicazione del loro progetto nulla si è perso o sfrangiato della forte identità di partenza: ottimo rapporto qualità-prezzo, attenzione e rispetto della stagionalità, ricerca meticolosa e oculata di fornitori di fiducia, riduzione di sprechi e scarti nel nome della sostenibilità e una particolare affezione per i tavoli sociali. All’alta artigianalità e tecnica in cucina, esito di esperienze d’eccellenza tra cui quella - comune e prodromica - al Pagliaccio di Anthony Genovese, fatta di piatti cesellati su materie prime di ineccepibile qualità e freschezza, corrisponde in sala, sotto gli occhi, al tatto, una matericità ben pensata e ben disegnata fatta di cuoio, legno, pietra lavica e metallo, una sartorialità senza sconti e compromessi, una sorta di lusso democratico di cui tutti - indistintamente - possano godere.
Spazio agli artigiani del gusto
Le animelle e puntarelle; la crepinette di foglie, cardi e ravanelli; il broccolo romanesco e acciughe; i bottoni di lingua, prezzemolo e pepe verde o il piccione, tamarindo e topinambur - solo per citarne alcuni - si prendono così la scena per raccontare, attraverso l’intensità e la centralità dei sapori e l’equilibrio raro degli abbinamenti, un altro mondo, sconosciuto ai più, spesso invisibile, a cui Alessandro e Giuseppe danno voce e spazio come meglio non si potrebbe: quello dei tanti, piccoli e coraggiosi artigiani del gusto - macellai, allevatori, contadini e vignaioli - sparsi per l’Italia, ricercati e selezionati in base alle loro specifiche esigenze, in netto e dichiarato contrasto all’omologazione dei ristoranti fotocopia ostaggio della grande distribuzione.
Tratto da Giuseppe Lo Iudice e Alessandro Miocchi di Danilo Giaffreda - foto di Elisa Menduni - IS n°33