Terra: Il ristorante di Heinrich Schneider
Heinrich cammina tutti i giorni nel bosco, anche d'inverno, per andare a raccogliere i frutti della sua valle. Quarantacinque minuti al giorno di esplorazione-meditazione-raccolta, per avere sempre qualcosa di fresco per il ristorante: acetosa, acetosella, alliaria (dall'aroma di aglio selvatico), achillea, muschi vari, il lichene cetraria islandica e ogni creatura vegetale che la stagione giusta può offrire al momento giusto. «La primavera è un luna park per uno cuoco come me: primizie, colori e profumi intensi, erbe di rinascita. Bisogna approfittarne del loro sapore, poi in estate diventa tutto più secco e amaro. Grazie all'esperto di erbe Abraham Heinrich studio varietà sempre nuove, oltre a quelle che conosco da decenni. In primavera-estate raccolgo tutte le erbe che posso e per conservarle l'intero anno lavoro molto con l'essiccazione e facendo olii aromatici: prendo i germogli, li metto in un barattolo con olio di vinacciolo e d'oliva, li lascio in macerazione circa un anno e mezzo e alla fine filtro e ottengo un olio incredibile, dalle cromature verde-smeraldo e da un sapore erbaceo intenso.
Nel ristorante ho un luogo preciso dove conservo innumerevoli barattoli con le “polveri d'erbe”, in una cella-cantina conservo invece l'olio abete, l'olio pino, l'olio al fieno, quasi tutto l'anno, e gli altri olii aromatizzati. Sempre a primavera mi sfogo poi con i funghi, anche grazie al micologo luminare Francesco Bellù, mio consulente. Li uso quasi sempre freschi ma ovviamente, per consumarli negli altri momenti dell'anno, li essicco e polverizzo come il prugnolo che emerge dalla terra solo a maggio, mentre i porcini li metto sottolio. In estate poi sono due le parole vincenti:erbe e alberi. Con la betulla ho sempre fatto il gelato, riuscendo a tenerlo in carta anche per un anno. Nel tempo ho notato che durante i 365 giorni l'albero cambiava e quindi anche i sapori che si potevano estrarre erano diversi. Ancora oggi prendo i rami, li spezzo e li tosto, poi li metto a bollire e faccio una specie di fondo, che infine filtro per la base del gelato. Che sapore, che escursione di trekking per le papille dell'ospite a tavola! Faccio anche un gel di betulla, questo però per combinarlo alla carne. Le gemme di abete poi hanno otto volte la vitamina C del limone, perché allora non usarle nei miei piatti?».
Heinrich è sempre orgoglioso della sua felice cucina, sembra che spadelli con gli occhi mentre parla. «In autunno, stagione che oltretutto sta quasi scomparendo dalla nostra mappatura climatica, si trovano le ultime erbe selvatiche, come l'acetosella o i muschi-licheni, e ancora tanti funghi, ma ormai è sempre più difficile: è una stagione ancora calda come l'estate e improvvisamente si trova ad avere picchi di freddo improvviso che spazzano via ogni velleità di conservazione. Quasi quasi è meglio l'inverno, ho scoperto che sotto la neve si nascondono alcune piante ancora vive, commestibili, buonissime, che in qualche modo anticipano il rigoglio della primavera. E così via, il ciclo infinito si ripresenta e così il mio menu». Heinrich si diverte a vivere una vita da perenne “forager”, ma è il suo processo di creazione dei menu a essere speciale, forse unico nella storia dei grandi cuochi italiani. Durante l'anno infatti raccoglie le erbe selvatiche, scopre nelle vicinanze aziende che allevano in modo biologico ed etico bestie di estrema qualità, conosce ottimi fornitori di pesce d'acqua dolce e si costruisce una base completa di ingredienti; poi nei mesi di chiusura, a novembre e aprile, si barrica nel ristorante, completamente da solo, per stilare al computer un menu ad hoc, ricco di precisione e stracolmo di idee; infine si getta in cucina (“non sono molto simpatico e socievole in questi due mesi di prova menu”) e inizia giorno e notte ad applicare le teorie, a fondere elementi, a trovare le grammature esatte, a completare pragmaticamente le ricette pensate durante l'anno. In confronto a lui il mago Panoramix di Asterix è un pivello apprendista. Poi arriva la brigata, ogni anno rinnovata di zecca, e insieme ai nuovi ragazzi cerca di plasmare il nuovo unico menu del ristorante, che andrà avanti per tutto il semestre con alcuni pochissimi fuori carta. Solo alla fine trova la quadra del gusto e degli abbinamenti coi vini con la sorella Gisela e il cognato Karl, formando una squadra davvero impeccabile.
A questo punto la carta è pronta, la sequenza dei piatti ha raggiunto il suo equilibrio, nei profumi, nei sapori singoli e complessivi, e perfino nell'estetica, grazie alla sua predilezione nei confronti dei piatti, quelli fisici, dove il cibo viene adagiato, che provengono tutti da laboratori di giovani artisti e artigiani che lo contattano su Instagram proponendogli di continuo di collaborare. L'arte delle vettovaglie, quindi tutte diverse tra loro, che strizzano l'occhio alla diversità degli ingredienti e nella disposizione dell'impiattamento. Irrazionalità, istinto e bellezza metafisica in mezzo alla natura si uniscono alla razionalità, all'esperienza e al processo scientifico della cucina, per dar vita a due menu annuali difficilmente eguagliabili nel circuito dell'altissima ristorazione.Sebbene sia apparentemente fuori dal mondo, è di certo uno degli chef più innovativi, lucidi e originali della cucina italiana contemporanea. Sembra che isolarsi faccia bene dunque, renda il cuoco più consapevole delle proprie capacità, degli ingredienti e dello spazio che lo circonda. Alla fine, per fare una cucina straordinaria, basta andare sempre avanti per il proprio sentiero, senza farsi influenzare da mode e modine, ma solo dall'etica intelligente e perfetta della natura.
Scopri la storia di Heinrich Schneider, l'uomo dei boschi
Heinrich è sempre orgoglioso della sua felice cucina, sembra che spadelli con gli occhi mentre parla. «In autunno, stagione che oltretutto sta quasi scomparendo dalla nostra mappatura climatica, si trovano le ultime erbe selvatiche, come l'acetosella o i muschi-licheni, e ancora tanti funghi, ma ormai è sempre più difficile: è una stagione ancora calda come l'estate e improvvisamente si trova ad avere picchi di freddo improvviso che spazzano via ogni velleità di conservazione. Quasi quasi è meglio l'inverno, ho scoperto che sotto la neve si nascondono alcune piante ancora vive, commestibili, buonissime, che in qualche modo anticipano il rigoglio della primavera. E così via, il ciclo infinito si ripresenta e così il mio menu». Heinrich si diverte a vivere una vita da perenne “forager”, ma è il suo processo di creazione dei menu a essere speciale, forse unico nella storia dei grandi cuochi italiani. Durante l'anno infatti raccoglie le erbe selvatiche, scopre nelle vicinanze aziende che allevano in modo biologico ed etico bestie di estrema qualità, conosce ottimi fornitori di pesce d'acqua dolce e si costruisce una base completa di ingredienti; poi nei mesi di chiusura, a novembre e aprile, si barrica nel ristorante, completamente da solo, per stilare al computer un menu ad hoc, ricco di precisione e stracolmo di idee; infine si getta in cucina (“non sono molto simpatico e socievole in questi due mesi di prova menu”) e inizia giorno e notte ad applicare le teorie, a fondere elementi, a trovare le grammature esatte, a completare pragmaticamente le ricette pensate durante l'anno. In confronto a lui il mago Panoramix di Asterix è un pivello apprendista. Poi arriva la brigata, ogni anno rinnovata di zecca, e insieme ai nuovi ragazzi cerca di plasmare il nuovo unico menu del ristorante, che andrà avanti per tutto il semestre con alcuni pochissimi fuori carta. Solo alla fine trova la quadra del gusto e degli abbinamenti coi vini con la sorella Gisela e il cognato Karl, formando una squadra davvero impeccabile.
A questo punto la carta è pronta, la sequenza dei piatti ha raggiunto il suo equilibrio, nei profumi, nei sapori singoli e complessivi, e perfino nell'estetica, grazie alla sua predilezione nei confronti dei piatti, quelli fisici, dove il cibo viene adagiato, che provengono tutti da laboratori di giovani artisti e artigiani che lo contattano su Instagram proponendogli di continuo di collaborare. L'arte delle vettovaglie, quindi tutte diverse tra loro, che strizzano l'occhio alla diversità degli ingredienti e nella disposizione dell'impiattamento. Irrazionalità, istinto e bellezza metafisica in mezzo alla natura si uniscono alla razionalità, all'esperienza e al processo scientifico della cucina, per dar vita a due menu annuali difficilmente eguagliabili nel circuito dell'altissima ristorazione.Sebbene sia apparentemente fuori dal mondo, è di certo uno degli chef più innovativi, lucidi e originali della cucina italiana contemporanea. Sembra che isolarsi faccia bene dunque, renda il cuoco più consapevole delle proprie capacità, degli ingredienti e dello spazio che lo circonda. Alla fine, per fare una cucina straordinaria, basta andare sempre avanti per il proprio sentiero, senza farsi influenzare da mode e modine, ma solo dall'etica intelligente e perfetta della natura.