Raw: la nuova voce della Val Camonica
Nel cuore della Val Camonica, terra di montagne antiche e di tradizioni scolpite nel tempo, lo chef Alessandro Pilatti ha scelto di fare ritorno dopo anni di formazione in giro per l’Italia. Più che un rientro sentimentale, una decisione professionale e lucida: costruire un ristorante capace di portare un linguaggio gastronomico contemporaneo in un territorio che conserva un’identità forte e a volte riservata. Così nasce Raw a Costa Volpino, nel bergamasco, un’insegna che punta non sull’effetto speciale ma sulla qualità costante, sul comfort, sulla volontà di trasformare un pranzo o una cena in un momento di benessere concreto e misurabile.

Per Pilatti, la cucina è prima di tutto ospitalità. Ogni elemento – dagli arredi al servizio, dalla materia prima alle cotture – viene calibrato per mettere il cliente in una condizione di serenità, senza intimidazioni e senza quella ricerca del colpo di scena a tutti i costi. «Vogliamo che chi entra da noi stia bene», racconta. Una promessa che si riflette in un menu essenziale, con pochi piatti ma mirati, costruiti su prodotti scelti con rigore e lavorati con tecnica solida: brodi, fondi, riduzioni, cotture intelligenti. Una cucina moderna, comprensibile, leggibile a chi la assaggia, ma comunque capace di proporre un linguaggio personale.

Il territorio è un compagno di viaggio costante, senza rigidità identitarie. I prodotti della valle, dai formaggi al pescato d’acqua dolce, dialogano con ingredienti non locali quando il piatto lo richiede. Tra le proposte più rappresentative c’è il pacchero mantecato con burro bianco e una salsa concentrata di pesci di lago cotti alla brace, completata da una polvere di verbena raccolta nei campi vicini: un piatto che unisce il fumo, la delicatezza, la memoria del territorio e la volontà di restituire dignità e valore a materie prime spesso considerate “minori”.

Allo stesso modo, la tradizione casearia locale diventa stimolo creativo: come nella bavarese di Silter – formaggio simbolo della Val Camonica – con cuore di pere, miele e noci, servita con sedano croccante e mostarda fatta in casa. Un modo per raccontare con tecnica da alta cucina quei sapori “da contadino” che appartengono alla memoria collettiva.

Tra le interpretazioni più riuscite del passato, lo chef cita una versione contemporanea delle zucchine alla scapece, trasformate in una crema che condisce uno spaghetto mantecato e completato con salmerino marinato e crema di burrata: un incontro tra Sud e Nord dove il sapore rimane riconoscibile ma cambia prospettiva, come un classico rivisto da un nuovo regista.

Per Pilatti, la cucina è prima di tutto ospitalità. Ogni elemento – dagli arredi al servizio, dalla materia prima alle cotture – viene calibrato per mettere il cliente in una condizione di serenità, senza intimidazioni e senza quella ricerca del colpo di scena a tutti i costi. «Vogliamo che chi entra da noi stia bene», racconta. Una promessa che si riflette in un menu essenziale, con pochi piatti ma mirati, costruiti su prodotti scelti con rigore e lavorati con tecnica solida: brodi, fondi, riduzioni, cotture intelligenti. Una cucina moderna, comprensibile, leggibile a chi la assaggia, ma comunque capace di proporre un linguaggio personale.

Il territorio è un compagno di viaggio costante, senza rigidità identitarie. I prodotti della valle, dai formaggi al pescato d’acqua dolce, dialogano con ingredienti non locali quando il piatto lo richiede. Tra le proposte più rappresentative c’è il pacchero mantecato con burro bianco e una salsa concentrata di pesci di lago cotti alla brace, completata da una polvere di verbena raccolta nei campi vicini: un piatto che unisce il fumo, la delicatezza, la memoria del territorio e la volontà di restituire dignità e valore a materie prime spesso considerate “minori”.

Allo stesso modo, la tradizione casearia locale diventa stimolo creativo: come nella bavarese di Silter – formaggio simbolo della Val Camonica – con cuore di pere, miele e noci, servita con sedano croccante e mostarda fatta in casa. Un modo per raccontare con tecnica da alta cucina quei sapori “da contadino” che appartengono alla memoria collettiva.
Poi c’è la pasta, componente centrale del pensiero gastronomico di Pilatti. Per lo chef, la pasta è un gesto di unione, famiglia, convivialità, gioia semplice e condivisa. Non è un caso che in carta ci siano sempre più formati e diverse interpretazioni: una pasta ripiena, uno gnocco, un cannellone, un formato secco. E grande spazio va alla pasta lunga – spaghettone o linguina – perché «è quella che più facilmente permette di creare cremosità e armonia nel piatto, mantenendo eleganza anche quando la porzione è generosa».

Tra le interpretazioni più riuscite del passato, lo chef cita una versione contemporanea delle zucchine alla scapece, trasformate in una crema che condisce uno spaghetto mantecato e completato con salmerino marinato e crema di burrata: un incontro tra Sud e Nord dove il sapore rimane riconoscibile ma cambia prospettiva, come un classico rivisto da un nuovo regista.
L’uso della pasta trafilata al bronzo risponde alle stesse logiche: tenuta, capacità di abbracciare il condimento, coerenza tecnica. «La pasta deve trattenere il sugo, non scollarsi», spiega. Da qui la scelta di dedicarsi proprio allo sviluppo di una nuova ricetta con Linguina Barilla Al Bronzo, crema di ostriche, vaniglia e peperoncino, aglio nero e limone verde.
Il ristorante oggi lavora su volumi contenuti – 40 coperti e quattro giorni di apertura – con approvvigionamenti settimanali da fornitori selezionati, una gestione pragmatica e sostenibile, coerente con le dimensioni del progetto. I piatti cambiano con regolarità, ma l’idea resta una: far uscire ogni cliente con un ricordo pieno, non solo gastronomico ma emotivo. Perché, in una valle dove l’accoglienza non è urlata ma sussurrata, Raw vuole dire una cosa chiara: cucina d’autore sì, ma pensata per far star bene le persone.
Scopri la biografia e tutte le ricette di 🔗ALESSANDRO PILATTI