L’Osteria Francescana a Modena di Massimo Bottura
L’”Osteria Francescana” è curata fin dai piccoli dettagli, sembra un centro culturale dove l’argomento “gastronomia” viene analizzato e sviluppato in ogni sua dimensione: i libri d’arte culinaria sugli scaffali, i quadri e le foto d’ispirazione contemporanea alle pareti, gli oggetti di design moderno che enfatizzano gli ingredienti.
Una brigata giovane e affiatata si ingegna per allestire il piatto più buono e quello esteticamente più bello. In sala, insieme al direttore, alcuni ragazzi arrivano direttamente dalle scuole, per imparare e vivere il lavoro in uno dei ristoranti più blasonati del mondo e premiato con due stelle Michelin.
Descrivere le creazioni di Massimo Bottura manda in sollucchero. Come parlare anche con i suoi giovani ragazzi, che è palese quanto lo stimino e apprezzino. Il rapporto tra di loro è focoso, fatto di scambi dialettici veloci e diretti.
La brigata sembra apprendere le direttive dello chef in un lasso di tempo istantaneo. Lo chef di casa scherza, incita e imprime una forza creativa ai suoi cucinieri davvero eccezionale. Dietro a ogni piatto c’è una storia, un aneddoto, un racconto. Filosofia e sogni si fondono in una serie di pietanze,dal sapore evocativo.
«Ognuno di noi lascia tracce nella storia della gastronomia. È importante essere contemporanei, non essere nostalgici, essere lucidi per poter andare avanti ed evolversi. In fondo la tradizione non è altro che un’innovazione ben riuscita, una combinazione di ingredienti che ha avuto successo e si è ripetuta per generazioni e generazioni…».
Poiché nella memoria stanno tutti i protagonisti della nostra cultura culinaria: «La cucina d’autore c’è sempre stata: le mamme, le rezdore (massaiegovernanti- cuoche della tradizione modenese, ndr), i grandi maestri. Ognuno ha dato qualcosa che ha modificato il nostro palato e la nostra percezione del buono»
La rappresentazione più bella e più intima è forse quella mostrata dal piatto Caldo e freddo di zuppa inglese: una volta destrutturata e divisa in parti calde e fredde, la gelatina di alchermes ha il compito di collegare e coprire gli ingredienti come un lenzuolo.
Massimo Bottura si ricorda del suo odio infantile per quel sapore ma ora, davanti al suo piatto, si prende una rivincita e fa in modo che il commensale gourmet abbia finalmente il potere di rimuovere questo lenzuolo gelatinoso, con un semplice gesto delle dita.
Memoria e pensiero d’avanguardia sono parte integrante della filosofia dello chef, un suo feticismo emozionale.
Una brigata giovane e affiatata si ingegna per allestire il piatto più buono e quello esteticamente più bello. In sala, insieme al direttore, alcuni ragazzi arrivano direttamente dalle scuole, per imparare e vivere il lavoro in uno dei ristoranti più blasonati del mondo e premiato con due stelle Michelin.
Descrivere le creazioni di Massimo Bottura manda in sollucchero. Come parlare anche con i suoi giovani ragazzi, che è palese quanto lo stimino e apprezzino. Il rapporto tra di loro è focoso, fatto di scambi dialettici veloci e diretti.
La brigata sembra apprendere le direttive dello chef in un lasso di tempo istantaneo. Lo chef di casa scherza, incita e imprime una forza creativa ai suoi cucinieri davvero eccezionale. Dietro a ogni piatto c’è una storia, un aneddoto, un racconto. Filosofia e sogni si fondono in una serie di pietanze,dal sapore evocativo.
«Ognuno di noi lascia tracce nella storia della gastronomia. È importante essere contemporanei, non essere nostalgici, essere lucidi per poter andare avanti ed evolversi. In fondo la tradizione non è altro che un’innovazione ben riuscita, una combinazione di ingredienti che ha avuto successo e si è ripetuta per generazioni e generazioni…».
Poiché nella memoria stanno tutti i protagonisti della nostra cultura culinaria: «La cucina d’autore c’è sempre stata: le mamme, le rezdore (massaiegovernanti- cuoche della tradizione modenese, ndr), i grandi maestri. Ognuno ha dato qualcosa che ha modificato il nostro palato e la nostra percezione del buono»
La rappresentazione più bella e più intima è forse quella mostrata dal piatto Caldo e freddo di zuppa inglese: una volta destrutturata e divisa in parti calde e fredde, la gelatina di alchermes ha il compito di collegare e coprire gli ingredienti come un lenzuolo.
Massimo Bottura si ricorda del suo odio infantile per quel sapore ma ora, davanti al suo piatto, si prende una rivincita e fa in modo che il commensale gourmet abbia finalmente il potere di rimuovere questo lenzuolo gelatinoso, con un semplice gesto delle dita.
Memoria e pensiero d’avanguardia sono parte integrante della filosofia dello chef, un suo feticismo emozionale.