L’amatriciana iblea, Modica nella tradizione dallo chef Carmelo Buoncuore
Marina di Modica è uno dei luoghi più visitati in Sicilia per chi cerca quel mare cristallino che potrebbe essere scambiato per quello di Trinidad e Tobago. Da quelle parti con l’attrattività turistica ci sanno fare, lo dicono i dati sul settore alberghiero per quanto riguarda la ricettività e l’ospitalità. Un modello oltre il modello Taormina per una parte di Sicilia in crescita e che fa scuola. In questa cornice virtuosa nasce il Terradamari Resort & Spa che ospita al suo interno il ristorante A Truvatura, una finestra gastronomica sui prodotti ittici ragusani e non solo. Siamo nella terra del cioccolato, dei pomodori e dei prodotti caseari. 
La Truvatura è infatti un’espressione siciliana che muove un evento fortunato, un tesoro, un chiavistello sul destino. E qui l’executive chef Carmelo Buoncuore ritrova la sua cucina. Dopo due anni a Terragona in Spagna, tre anni a Berlino, un anno e mezzo a Malta, la sua Sicilia gli deve essere mancata molto ma ha portato tanto delle sue esperienze lavorative fuori dall’isola: «tutto è iniziato a Roma nel lontano 1996 in una trattoria. Preparavo piatti della tradizione con dei prodotti stagionali. Molta di quella esperienza l’ho riportata in Sicilia».
Lo chef fa riferimento all’attenzione per il prodotto fresco «lavorarlo in maniera tradizionale, dal nero di seppia ai ravioli di ricotta vaccina, soprattutto qui a Marina di Modica con il pesce locale. Il risultato deve essere un piatto buono e bello agli occhi». Tradizione con contaminazioni spurie: «Ho preso influenze dai miei viaggi, come l’insalata catalana dalla Spagna che ho trasformato in una insalata di mare con diversi colori e una base di frutta. Dalla Germania ho ereditato invece la cultura della cottura della carne, da quelle parti si ha un’altra cognizione sulle lunghe cotture».
Quando si tratta l’argomento pasta, lo chef si emoziona: «quando dico pasta penso alla famiglia e alla convivialità, e penso a mio padre, che mangia solo quello!» La pasta ha un ruolo importante da A Truvatura: proprio come un tesoro riscoperto per lo chef rappresenta “la prima portata nel mio ristorante” e la possibilità di inscenare quell’omaggio alla centralità della pasta nella cultura romana. Così nasce la sua amatriciana iblea, ottenuta con del guanciale di Chiaramonte, il pomodoro siccagno – in siciliano “secco” perché non si innaffia mai durante il periodo di giugno – e poi la cipolla di Giarratana.
Una visione contemporanea che non volta le spalle alla storicità di un piatto identitario come l’amatriciana. «La mia pasta preferita? Mi piace lavorare i tagliolini, mi piacciono i mezzi rigatoni, ma qui al ristorante ne usiamo tantissima con svariati formati».
In riferimento alla pasta Barilla Al Bronzo racconta: «Ho scelto la pasta trafilata al bronzo per curiosità e dopo averla provata ho apprezzato il fatto che tiene molto la cottura, si presenta bene anche al sapore». Una certezza nel suo menu che si potrebbe definire new classic. «Senz’altro mi piace il mezzo rigatone e lo utilizziamo con il sugo di pesce e con l’astice. Abbiamo fatto lo spaghetto al gambero rosso di Mazara e poi i mezzi rigatoni con il pesto con la bottarga, altro elemento che il territorio ci regala tutto l’anno». Siamo in Sicilia, non bisogna dimenticarlo, qui la pasta gioca in casa in quello che era il granaio d’Europa per gli antichi Romani. Ancora oggi però, in luoghi come Marina di Modica, si celebra il sodalizio che ha reso celebre l’Italia nel mondo, tra pasta e mare. Un modo per raccontare il patrimonio ittico siciliano valorizzandone colori e profumi. 