La tradizione culinaria dell'Abruzzo diventa cucina gourmet con Nicola Fossaceca
A circa tre chilometri dal mare e poco meno di due dal confine col Molise, San Salvo è una piccola cittadina in provincia di Chieti. In questo borgo lontano dai soliti itinerari dei ristoranti stellati, Nicola Fossaceca si è creato un spazio creativo tutto suo, dove in poco tempo è riuscito a esprimersi e a far conoscere la sua giovane e brillante cucina. Accompagnato in sala dal fratello Antonio, dal 2002 gestiscono insieme il ristorante di famiglia “Al Metrò”.
Nicola Fossaceca discende da una famiglia di pasticceri e infatti si ricorda ancora nelle narici i classici profumi di impasto, di frutta, di dolcezze varie. È cresciuto in un contesto gastronomico ben definito che gli ha dato forse le basi culinarie per il futuro: «Provengo da una famiglia di pasticceri, quindi ho nel sangue il DNA del settore. Io sono però uno cuoco, non un pasticcere, anche se creare dolci mi diverte».
Non bisogna tuttavia dimenticare che il ristorante era in passato proprio un “forno di dolcezze” e la storia del nome “Al Metrò” parte da un’idea del padre dello chef: «Il nome del ristorante è dovuto al fatto che mio padre partecipò alla costruzione della metropolitana a Roma e, una volta tornato a San Salvo, con la mia famiglia decise di dedicare a quell’evento il nuovo progetto, la pasticceria appunto!»
Poi il testimone passo ai due figli, Nicola e Antonio, e la pasticceria diviene un ristorante vero e proprio. «Io sono in cucina dal 2002 e mio fratello è il direttore di sala, nonché sommelier AIS; insieme abbiamo preso in mano la situazione e portato il locale in una direzione ben precisa: la riscoperta della cucina povera abruzzese». Il discorso comincia a entrare nel vivo.
«La mia cucina parte da presupposti veramente territoriali. Le materie prime arrivano da qua intorno, e devono essere buonissime! Il mio modo di cucinare è semplice e pulito, non cerco mai l’effetto scenico fine a se stesso». Nicola Fossaceca è un ragazzo sorridente, molto timido ed educato. È talmente gentile che quando si esprime sembra che non voglia disturbare il suo interlocutore.
Parla e comunica come i suoi piatti, in modo leggero, pulito e molto accattivante. Le ricette da lui proposte hanno un’origine molto personale, legate alla tradizione povera dell’entroterra abruzzese.
«Io mi sento a mio agio quando lavoro con i sapori veri, con la cucina di carne d’ispirazione dell’entroterra. Per esempio cucino con grandissimo piacere l’agnello dell’Alto Vastese. I miei desideri seguono anche l’influenza molisana, a un tiro di schioppo dal mio ristorante, e la cucina agropastorale».
Ma non solo: oltre all’agnello ha recuperato antichi prodotti del territorio come la millenaria ricotta di pecora che la vecchia transumanza era solita portare giù dagli Appennini, oppure il carciofo di Cupello, conosciuto già in epoca greco-romana e sempre presente nelle nobili tavole di Caterina de’ Medici.
«Una volta assorbite nella mia mente queste antiche ricette della terra, il mio sguardo non può che rivolgersi anche al mare: la Frittatina con bianchetti crudi ne è una precisa dimostrazione. Ma anche le Alici e patate e la Pescatrice con patè di olive leccino sono chiari messaggi d’amore nei confronti del mare».
Parlando con Nicola Fossaceca non si fi nisce mai di scoprire quanto l’Italia e l’Abruzzo siano ricchi di materie prime eccezionali. Quello che soddisfa di più però è quanto lui e la nuova generazione di chef si siano lasciati alle spalle quella voglia di stupire a tutti i costi e presentare a tavola abbinamenti strampalati, magari con ingredienti non autoctoni.
Il suo piatto Cicoria e cicale rende bene l’idea: la tradizione della terra (la cicoria) si fonde alla tradizione del mare (le cicale), fornendo un riassunto magistrale dell’intero ambiente culinario della zona. Ma anche nel gusto: la nota amara e terrosa della cicoria contrasta con la mite dolcezza delle cicale cotte al vapore. Non si sente forse tutta la potenza dell’Abruzzo?
«Se io adesso sto lavorando in questa direzione lo devo soprattutto a Niko Romito, che con le sue idee mi ha sconvolto e aperto nuovi orizzonti. La voglia di ricerca tra le materie prime mi è stata insegnata anche durante lo stage da Mauro Uliassi, nel suo ristorante di Senigallia.
Per non parlare poi di Anthony Genovese e delle sue provocanti ricette de “Il Pagliaccio” di Roma… A tutti loro devo tanto, soprattutto nell’uso delle nuove tecniche di cottura, ma non per questo mi sento arrivato a destinazione!» Dopo l’ennesima prova d’umiltà di questo ragazzo, non resta che provare con i propri denti le sue creazioni, e tutto il sapore di una giovane e brillante cucina abruzzese.
Nicola Fossaceca discende da una famiglia di pasticceri e infatti si ricorda ancora nelle narici i classici profumi di impasto, di frutta, di dolcezze varie. È cresciuto in un contesto gastronomico ben definito che gli ha dato forse le basi culinarie per il futuro: «Provengo da una famiglia di pasticceri, quindi ho nel sangue il DNA del settore. Io sono però uno cuoco, non un pasticcere, anche se creare dolci mi diverte».
Non bisogna tuttavia dimenticare che il ristorante era in passato proprio un “forno di dolcezze” e la storia del nome “Al Metrò” parte da un’idea del padre dello chef: «Il nome del ristorante è dovuto al fatto che mio padre partecipò alla costruzione della metropolitana a Roma e, una volta tornato a San Salvo, con la mia famiglia decise di dedicare a quell’evento il nuovo progetto, la pasticceria appunto!»
Poi il testimone passo ai due figli, Nicola e Antonio, e la pasticceria diviene un ristorante vero e proprio. «Io sono in cucina dal 2002 e mio fratello è il direttore di sala, nonché sommelier AIS; insieme abbiamo preso in mano la situazione e portato il locale in una direzione ben precisa: la riscoperta della cucina povera abruzzese». Il discorso comincia a entrare nel vivo.
«La mia cucina parte da presupposti veramente territoriali. Le materie prime arrivano da qua intorno, e devono essere buonissime! Il mio modo di cucinare è semplice e pulito, non cerco mai l’effetto scenico fine a se stesso». Nicola Fossaceca è un ragazzo sorridente, molto timido ed educato. È talmente gentile che quando si esprime sembra che non voglia disturbare il suo interlocutore.
Parla e comunica come i suoi piatti, in modo leggero, pulito e molto accattivante. Le ricette da lui proposte hanno un’origine molto personale, legate alla tradizione povera dell’entroterra abruzzese.
«Io mi sento a mio agio quando lavoro con i sapori veri, con la cucina di carne d’ispirazione dell’entroterra. Per esempio cucino con grandissimo piacere l’agnello dell’Alto Vastese. I miei desideri seguono anche l’influenza molisana, a un tiro di schioppo dal mio ristorante, e la cucina agropastorale».
Ma non solo: oltre all’agnello ha recuperato antichi prodotti del territorio come la millenaria ricotta di pecora che la vecchia transumanza era solita portare giù dagli Appennini, oppure il carciofo di Cupello, conosciuto già in epoca greco-romana e sempre presente nelle nobili tavole di Caterina de’ Medici.
«Una volta assorbite nella mia mente queste antiche ricette della terra, il mio sguardo non può che rivolgersi anche al mare: la Frittatina con bianchetti crudi ne è una precisa dimostrazione. Ma anche le Alici e patate e la Pescatrice con patè di olive leccino sono chiari messaggi d’amore nei confronti del mare».
Parlando con Nicola Fossaceca non si fi nisce mai di scoprire quanto l’Italia e l’Abruzzo siano ricchi di materie prime eccezionali. Quello che soddisfa di più però è quanto lui e la nuova generazione di chef si siano lasciati alle spalle quella voglia di stupire a tutti i costi e presentare a tavola abbinamenti strampalati, magari con ingredienti non autoctoni.
Il suo piatto Cicoria e cicale rende bene l’idea: la tradizione della terra (la cicoria) si fonde alla tradizione del mare (le cicale), fornendo un riassunto magistrale dell’intero ambiente culinario della zona. Ma anche nel gusto: la nota amara e terrosa della cicoria contrasta con la mite dolcezza delle cicale cotte al vapore. Non si sente forse tutta la potenza dell’Abruzzo?
«Se io adesso sto lavorando in questa direzione lo devo soprattutto a Niko Romito, che con le sue idee mi ha sconvolto e aperto nuovi orizzonti. La voglia di ricerca tra le materie prime mi è stata insegnata anche durante lo stage da Mauro Uliassi, nel suo ristorante di Senigallia.
Per non parlare poi di Anthony Genovese e delle sue provocanti ricette de “Il Pagliaccio” di Roma… A tutti loro devo tanto, soprattutto nell’uso delle nuove tecniche di cottura, ma non per questo mi sento arrivato a destinazione!» Dopo l’ennesima prova d’umiltà di questo ragazzo, non resta che provare con i propri denti le sue creazioni, e tutto il sapore di una giovane e brillante cucina abruzzese.