La storia di Francesco Cheloni, tra tradizione toscana e cucina sostenibile

Toscano di nascita e brianzolo d’adozione, Francesco Cheloni ha costruito il suo percorso unendo radici, curiosità e concretezza. Nato a Firenze, ha frequentato l’istituto alberghiero e mosso i primi passi tra i ristoranti del capoluogo e del Chianti, alternando esperienze in cucine di carne e in un ristorante vegetariano. «È stata un’esperienza che mi ha aperto la mente, mi ha insegnato a ragionare sugli ingredienti in modo diverso».

Dopo qualche anno in Toscana, arriva a Parma per frequentare ALMA, la Scuola Internazionale di Cucina Italiana. «È stata una delle esperienze più belle della mia vita. Lì ho capito quanto la tecnica conti, ma anche quanto servano passione e umiltà».

Grazie a quel percorso arriva in Lombardia, nella brigata dello chef Giancarlo Morelli, dove rimane per cinque anni. «Morelli è stato un maestro: mi ha insegnato a rispettare la materia prima e a lavorare con precisione. Da lui ho imparato che la semplicità, se è autentica, è la cosa più difficile da raggiungere».



Nel 2018 arriva a Barzago, in Brianza, dove due anni dopo prende in gestione il ristorante insieme alla compagna Giovanna Bettega, conosciuta proprio nella cucina di Morelli. Oggi lavorano fianco a fianco: lui ai fornelli, lei in sala. Hanno trovato una rete di piccoli produttori e un ritmo di lavoro che permette di realizzare una cucina più personale, che parte dalla tradizione italiana ma si trasforma in contemporanea grazie ai meravigliosi ingredienti selezionati, che stimolano a osare e a “reinventare” nuovi classici, come la Cacio e Pepe, la Cotoletta o il Mondeghilo.
Più che filosofia, parla di linee guida: materia prima di qualità, rispetto per l’ingrediente, tecnica curata.



Nel menu, la pasta ha un ruolo centrale: «È il cuore della cucina italiana e permette di esprimere creatività senza perdere il legame con la tradizione». In carta ci sono sempre cinque primi, spesso più dei secondi, con paste fresche fatte in casa, tagliatelle, gnocchi e paste ripiene e qualche formato secco selezionato. Tra le creazioni più amate, la pasta di pane, nata dal recupero del pane raffermo: grattugiato e impastato con acqua e uova, diventa un maltagliato rustico e sostenibile, simbolo della sua cucina antispreco.

La pasta secca, invece, è affidata a due produttori: uno toscano e Barilla Al Bronzo, scelta per la tenuta in cottura e la capacità di trattenere i condimenti. «Abbiamo fatto varie prove: la trafilatura al bronzo assorbe davvero i sapori, soprattutto del pomodoro. Anche dopo la mantecatura, la pasta rimane compatta e profumata di grano».

Per il progetto Barilla Al Bronzo, lo chef ha creato un piatto che racconta la sua idea di equilibrio tra memoria e modernità: Mezze Penne alla vodka. Un grande classico degli anni Ottanta, reinterpretato.

Il suo legame con la pasta nasce da lontano, da quelle domeniche dell'infanzia a Firenze, quando la nonna preparava i maccheroni al sugo di carne. «Ricordo il profumo del ragù e le fette di pane immerse nel sughino: era un rito, un modo per stare insieme».
Oggi quella memoria si traduce in una cucina che guarda avanti senza dimenticare da dove viene. Una cucina fatta di gesti sinceri, rispetto per la materia prima e la voglia di raccontare storie vere, un piatto alla volta.


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