La semplicità come firma: il percorso di Maria Rosaria Peluso
Non arriva da cucine stellate né da percorsi accademici lineari: Maria Rosaria Peluso è una cuoca autodidatta che ha costruito la propria storia con curiosità e tanto studio. Per diciassette anni ha gestito con il marito un’attività di street food a Otranto, poi una piccola griglieria–friggitoria. Un giorno, insoddisfatta di ciò che vedeva ai fornelli, ha deciso di prenderne lei stessa il controllo. «Cucinavo già per la mia famiglia, ma mai in modo professionale. Ho iniziato con piatti semplici e ho capito subito che quella era la mia strada».

Nel 2016 il ristorante pugliese prende forma, e arrivano i primi riconoscimenti tra cui la forchetta del Gambero Rosso e tanti altri. Poi, dopo il Covid, Maria Rosaria e il marito scelgono di trasferirsi a Monza, dove vivono le figlie e i nipoti. È qui che nasce Mamíe. «La famiglia è sempre stata la mia forza. A Monza posso lavorare tutto l’anno, seguendo la stagionalità e costruendo un equilibrio che a Otranto non avevo».

La pasta è la costante di tutta la sua vita, “energia pura” come la definisce lei. Da bambina, la domenica era il giorno delle orecchiette e delle sagne ‘ncannulate, lunghe strisce di pasta attorcigliata al sugo, il profumo che riempiva la casa. Oggi nel suo ristorante alterna pasta fresca fatta in casa e pasta secca trafilata al bronzo.
La voglia di crescere la porta a Milano, dove frequenta corsi di cucina fino ad arrivare all’Accademia di Gualtiero Marchesi. Lì scopre una naturale attitudine e riceve una delle frasi che porterà sempre con sé: “Tutti abbiamo un talento, l’importante è scoprirlo”. Da quel momento, lo studio diventa parte integrante del suo mestiere. Durante gli inverni, quando il ristorante di Otranto era chiuso, si dedicava completamente alla formazione, osservando e imparando anche dai gesti più semplici degli chef.

Nel 2016 il ristorante pugliese prende forma, e arrivano i primi riconoscimenti tra cui la forchetta del Gambero Rosso e tanti altri. Poi, dopo il Covid, Maria Rosaria e il marito scelgono di trasferirsi a Monza, dove vivono le figlie e i nipoti. È qui che nasce Mamíe. «La famiglia è sempre stata la mia forza. A Monza posso lavorare tutto l’anno, seguendo la stagionalità e costruendo un equilibrio che a Otranto non avevo».
La cucina di Mamíe si fonda su chiarezza e verità. Nei piatti di Maria ogni ingrediente è riconoscibile, pensato per raccontare sapore prima che estetica. «I miei piatti si leggono: devono essere semplici, diretti, e soprattutto buoni. La bellezza viene dopo». Le origini salentine restano una presenza discreta, un’eco che si intreccia con prodotti e ispirazioni da tutta Italia. Così, nel menù, tradizione e creatività convivono con naturalezza: il Raviolo di Mamíe con funghi e faraona, dedicato alla nonna francese, ne è un esempio; mentre con l’arrivo della primavera compaiono piatti come il raviolo agli asparagi.
Accanto a questi, emergono creazioni che raccontano la sua ricerca di equilibrio tra tecnica e sensibilità, come la Capasanta, caviale, crema di topinambur e crumble, un piatto in cui la delicatezza del mare incontra la profondità della terra, e il Risotto, gelato, porcini e cerfoglio. Un carnaroli riserva San Massimo è il chicco usato per questo risotto squisito mantecato con burro chiarificato, e servito con una palla di gelato ai porcini al centro. Da mangiare con il cucchiaio per tirare su il riso cremoso insieme al gelato e sentire il contrasto caldo–fresco giocare piacevolmente in bocca.

La pasta è la costante di tutta la sua vita, “energia pura” come la definisce lei. Da bambina, la domenica era il giorno delle orecchiette e delle sagne ‘ncannulate, lunghe strisce di pasta attorcigliata al sugo, il profumo che riempiva la casa. Oggi nel suo ristorante alterna pasta fresca fatta in casa e pasta secca trafilata al bronzo.
Nel menù non mancano i piatti di pasta secca, tra cui gli Spaghetti “Tricolore”, creati per il progetto Barilla Al Bronzo. È un piatto che unisce idealmente Nord e Sud: la pasta è condita con una base di burro e alici e completata con polvere di prezzemolo e di pomodoro, disegnando i colori della bandiera italiana.
«La trafilatura al bronzo trattiene perfettamente il condimento: ad ogni boccone sembra quasi di fare la scarpetta», racconta «ti lega al gusto e alla memoria, come una mano che stringe quella di chi ami».
E forse è proprio qui che si riconosce la sua cucina: semplice ma profonda, onesta come un gesto quotidiano.