Il Luogo di Aimo e Nadia a Milano

Il Luogo di Aimo e Nadia è uno stile di vita, un edificio di pensieri, una locomotiva che fa propaganda da nord a sud, narrando come un vecchio cantastorie tutte le materie prime d'Italia.

Così racconta Alessandro Negrini: «Il cliente viene apposta in via Montecuccoli, magari proprio dal centro di Milano in cui vive, per sperimentare un tipo di cucina italiana totalizzante. Nel nostro menu (vedi anche la ricetta Amare, tre volte alla Birra Blanche di Erbers) si può assaggiare, in ogni singolo piatto, cinquine e decine di prodotti strabilianti, che sono lo specchio di una zona, di una città, di un borgo, di una riserva naturale, di un passo di montagna, di una località campagnola... Noi siamo i rabdomanti del gusto italiano, e cerchiamo di manifestarlo ogni giorno con le nostre pietanze».

Per i due cuochi del “luogo” la cucina è dentro il corpo: quando si muove uno chef si muovono con lui anche le ricette, le idee, la memoria gustativa di una cozza cruda – e quasi appena pescata  –  nel  mercato di San Benedetto a Cagliari o il pane di Eugenio Pol con l'acqua di sorgente e le farine di grani antichi.

Per Alessandro e Fabio la gastronomia italiana è uno spartito, un pentagramma che si può mettere in scena con raziocinio, ma il più delle volte vince la sensibilità evocativa di ciascuno di noi. «Grazie al continuo lavoro io e Fabio siamo riusciti ad avere un controllo del prodotto, e quindi ora abbiamo questa fantastica virtù di poter improvvisare in cucina».

E Fabio: «I nostri piatti devono emozionare; i nostri piatti devono portare la mente del commensale avanti e indietro, su e giù per il tempo-spazio, nei substrati dell'inconscio e della sfera affettiva, e parimenti alla superficie, come godimento istantaneo e apparentemente superficiale.

Giusto oggi, mangiando il nostro risotto, un cliente si è ritrovato improvvisamente al mare, in costume da bagno con i figlioli intorno a lui, col sapore del sale in bocca... Oppure capita col peperone crusco di Senise, che pochi conoscono fuori dalla Lucania, ma degustandolo con una triglia marinata emergono i fasti di un territorio bellissimo e sovente, ahimè, dimenticato».

La forza di Alessandro e Fabio è il modo di pensare il prodotto e la cucina dell'ingrediente. Hanno solo un paletto: non scendere mai al compromesso dell'estetica rispetto al gusto. Se un piatto è bello ma non buono non è interessante, se è ben allestito ma non fa cultura zampillando sapori idilliaci, non vale la pena di metterlo in carta al ristorante.

I paletti servono quando c'è la nebbia, quando ci si perde in montagna con la neve; ma se si conosce la strada, si va dritti senza inciampi. Questi “paletti” non sono tuttavia negativi, servono per evitare di continuare a vagare nel nulla o nella continua sperimentazione, è pericoloso.

«La nostra ricerca culinaria gravita intorno al sapore, abbiamo ardore nel conservare la nostra memoria gustativa, salvaguardandone i valori come golosi feticisti. Mai abbandonare qualcosa di positivo, bisogna perseverare nell'ingrediente, analizzarlo, renderlo vivo in più soluzioni, abbinamenti, consistenze, stravolgimenti dal punto iniziale, e soprattutto custordirne la conservazione culturale.

Istituzionalizzare il valore del gusto, come per esempio nella ormai mitologica Zuppa etrusca: per non perderne il ricordo e tramandarla ai nostri nipoti, è d'uopo cucinarla tutti i giorni, e alla grande, senza noia. Sono sicuro che diventerà un piatto classico fra qualche decennio, come gli Spaghetti al cipollotto che già molti ristoranti in Italia ce l'hanno in carta...» si entusiasma Alessandro.

La meraviglia d “Aimo e Nadia” è che se si mangia oggi un piatto “retro-innovativo” come i Tortelli farciti di ossobuco di Fassone e midollo nel suo ristretto allo zafferano sardo e parmigiano Bonati, domani si è certi che si troverà in qualche osteria nel menu tradizionale.

Tutto ciò è davvero illuminante, sembra di percepire la genialità preveggente di Philip K. Dick o di George Orwell, che si immaginavano mondi futuri negli anni '50 e ora li vediamo quotidianamente uscendo dalla porta di casa alla mattina.

«Cambiamo i piatti ma rimane sempre un fil rouge, un timbro di sapore, di conoscenza, di stile... E' marketing del gusto, come paradossalmente agiscono McDonald's o la Coca Cola.

Come loro il nostro intento è quello di far desiderare continuamente quei sapori riconoscibili, come se volessimo standardizzare verso l'alto il nostro stile, ma aggiungendo ogni volta nuove cose, sempre di qualità eccelsa. Nell'atto creativo, mentre stiamo “partorendo” un menu nuovo, continuiamo a dire no finchè non si trova un qualcosa che sia di stampo “Aimo e Nadia”».

Anche questa riflessione è illuminante: uno chef si deve riconoscere dal gusto, non solo a livello estetico o di tipologia d'ingrediente. È un gradino più in là della normale comprensione critica di un piatto: identificare uno chef dal gusto quindi, non dallo stile, come un pittore si riconosce dal colore, non dalle tecniche o dai soggetti dipinti.

L'estetica può essere approciata da tutti (basta studiare e applicarsi!), ma la complessità del gusto è ardua missione. È come se si dovesse portare il gusto al suo karma iniziale, primigenio, per poi partire in quarta e amplificarne il valore organolettico e culturale appunto.

Ma qual è il futuro di Alessandro Negrini e Fabio Pisani? «L'evoluzione dell'uomo è percorrere una strada, insegnando alle generazioni successive come percorrerla al meglio. Gli spaghetti al cipollotto che Aimo e Nadia Moroni inventarono negli anni '70? Saranno come una carbonara o un'amatriciana del futuro, ne siamo certi» sorridono compiaciuti i due chef.

Il dovere di Alessandro e Fabio è quello di continuare il lavoro di Aimo e Nadia, sono solo all'inizio, c'è un'enciclopedia da scrivere. D'altronde, se questo ristorante vive e prospera da 54 anni, sempre pieno di clienti, allora come oggi, e ricco di riconoscimenti, vuol dire che le origini e gli obbiettivi sono giusti, in linea con l'intelligenza culturale, etica e di business.

Aimo, Nadia e Stefania hanno scoperto, educato, impreziosito e lasciato liberi di esprimersi due mostri del gusto, che dimostrano quanto una filosofia di vita – e di cucina – possa veramente entrare nelle vene delle persone ed evolversi nella contemporaneità (e addirittura influenzarla).

La cucina è pace, è erudizione, è morale, è scoperta e curiosità, ma alla fine dei conti quello che conta è che sia buona, anzi buonissima. Il resto è puro dettaglio.

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