Hotel Hassler con il ristorante stellato Imago a Roma
Il ristorante Imago negli anni Cinquanta si chiamava "Roof Restaurant" ed era frequentato da politici, teste coronate e personaggi noti come John Kennedy, Grace Kelly, Federico Fellini e Igor Stravinskji. Roberto Wirth l’ha inaugurato per la seconda volta nel 2006, dopo un completo restyling seguito in prima persona, insieme ad Astrid Schiller per l’interior design e allo chef Francesco Apreda, per il progetto della cucina.
Ha scelto anche il nome Imàgo, che in latino significa immagine e visione, per rappresentare l’unicità dell’esperienza gastronomica d’eccellenza e del panorama mozzafiato sulla Città Eterna. Le finestre sembrano tanti quadri d’autore che ritraggono gli scorci più belli di Roma.
I pavimenti in marmo giocano con intarsi in legno antico. Luci d’ambiente soffuse e spot d’accento sui tavoli, cambiano l’ambientazione nelle diverse ore del giorno e della sera, sempre con lo sfondo di musica soft. Il gusto sicuro e la cura dei dettagli si leggono ovunque, nell’arredo e nella “mise en place”.
«Confesso - spiega Apreda - che questo contesto così unico e impagabile è stata la sfida più esaltante. Riuscire a spostare l’attenzione dei clienti da questa meraviglia per dirottarla sui miei piatti, è veramente stimolante e quando accade, per fortuna spesso, per me è una conquista, una vittoria come quella stella Michelin arrivata a confermare che le scelte erano giuste e lo sono ancora visto che è stata riconfermata anche quest’anno.
Sono arrivato all’Hassler a 18 anni e ho capito subito che sarebbe stata la svolta della mia vita. Mi sono impegnato dai ruoli più umili a quelli più importanti, fino a quando la proprietà mi ha mandato a Londra per fare esperienza internazionale ad alto livello.
Un periodo straordinario che mi ha formato e divertito. A farmi tornare in Italia è stato Roberto Wirth, una persona fuori dal comune che per me ha addirittura qualcosa di magico.
Era stato lui a volermi all’Hassler quando avevo solo 18 anni, lui a mandarmi a Londra e ancora lui a chiedermi di seguirlo all’Imperial di Tokyo, l’hotel più importante del Giappone con ben 10 ristoranti, uno italiano del quale era consulente. Lì sono cresciuto professionalmente, con l’obiettivo di tornare a Roma, dove intanto Wirth stava dando forma al progetto dell’Imàgo.
Per me è stato l’avverarsi di un sogno, un progetto che mi ha coinvolto al massimo perché Wirth mi ha lasciato carta bianca nella scelta del personale, nei dettagli, nella filosofia. Ma anche una responsabilità non indifferente per un’operazione importante che ha richiesto sei mesi di duro lavoro».
Ha scelto anche il nome Imàgo, che in latino significa immagine e visione, per rappresentare l’unicità dell’esperienza gastronomica d’eccellenza e del panorama mozzafiato sulla Città Eterna. Le finestre sembrano tanti quadri d’autore che ritraggono gli scorci più belli di Roma.
I pavimenti in marmo giocano con intarsi in legno antico. Luci d’ambiente soffuse e spot d’accento sui tavoli, cambiano l’ambientazione nelle diverse ore del giorno e della sera, sempre con lo sfondo di musica soft. Il gusto sicuro e la cura dei dettagli si leggono ovunque, nell’arredo e nella “mise en place”.
«Confesso - spiega Apreda - che questo contesto così unico e impagabile è stata la sfida più esaltante. Riuscire a spostare l’attenzione dei clienti da questa meraviglia per dirottarla sui miei piatti, è veramente stimolante e quando accade, per fortuna spesso, per me è una conquista, una vittoria come quella stella Michelin arrivata a confermare che le scelte erano giuste e lo sono ancora visto che è stata riconfermata anche quest’anno.
Sono arrivato all’Hassler a 18 anni e ho capito subito che sarebbe stata la svolta della mia vita. Mi sono impegnato dai ruoli più umili a quelli più importanti, fino a quando la proprietà mi ha mandato a Londra per fare esperienza internazionale ad alto livello.
Un periodo straordinario che mi ha formato e divertito. A farmi tornare in Italia è stato Roberto Wirth, una persona fuori dal comune che per me ha addirittura qualcosa di magico.
Era stato lui a volermi all’Hassler quando avevo solo 18 anni, lui a mandarmi a Londra e ancora lui a chiedermi di seguirlo all’Imperial di Tokyo, l’hotel più importante del Giappone con ben 10 ristoranti, uno italiano del quale era consulente. Lì sono cresciuto professionalmente, con l’obiettivo di tornare a Roma, dove intanto Wirth stava dando forma al progetto dell’Imàgo.
Per me è stato l’avverarsi di un sogno, un progetto che mi ha coinvolto al massimo perché Wirth mi ha lasciato carta bianca nella scelta del personale, nei dettagli, nella filosofia. Ma anche una responsabilità non indifferente per un’operazione importante che ha richiesto sei mesi di duro lavoro».