Giuliano Sperandio

Ligure di Diano Borganzo, classe ’82, Giuliano Sperandio è lo chef executive de Le Taillevent, uno dei ristoranti più importanti nella storia dell’alta ristorazione parigina e mondiale. Un cuoco italiano alla guida di un monumento della cucina francese, una grande rivoluzione fatta in punta di piedi. Ma ben saldi a terra.

Quando parla Giuliano è un piacere ascoltarlo: il suo tono ruggente e felice è il perfetto pendant delle sue idee nette e statuarie, soprattutto quando riflette sulle differenze tra la cucina francese e quella italiana. 

«Prima di tutto la formazione scolastica di base. Qui in Francia, sin dalla più giovane età, si allestiscono le fondamenta del sapere culinario e non si può scherzare. A 14 anni negli istituti alberghieri si parte da Escoffier, dai libri tecnici e c’è la pratica diffusa di mettersi alla prova fin da subito con colleghi, ingredienti e attrezzature. In Italia si apprendono le basi e si fa teoria a grandi linee, con professori che arrivano prevalentemente dalle scuole (e non dalla ristorazione). La scuola francese dà la possibilità di entrare direttamente nel mondo Michelin, i miei ragazzi di 16 anni e l’alto numero di giovanissimi delle brigate in Francia lo dimostrano con immediatezza. Nel programma francese vige l’alternanza scuola-lavoro fin da subito e l’approccio alla materia è quasi universitario, già a 18 anni; l’italiano, di contro, deve crearsi da sé le proprie esperienze, sperando di trovare fin dagli esordi dei buoni cuochi-maestri che possano condividere le loro conoscenze.
Tuttavia, oggi è forse migliorata la situazione: un ragazzo ambizioso, che sia francese o italiano, può ora imparare anche autonomamente, dal web e dai nuovi libri più accessibili e specifici. Poi però c’è sempre lo scoglio della realtà, dell’entrare in cucina e iniziare le battaglie. Dove l’adrenalina elettrifica corpo e mente, lì ci vuole il carattere oltre alle nozioni imparate
».

Differenze sostanziali, dunque, tra le due culture che forse si stanno affievolendo, visto che la richiesta di cuochi italiani nel mondo si sta muovendo nella direzione opposta: catene alberghiere, brigate stellate di tutto il mondo, consulenze e aperture di nuovi ristoranti di lusso sono in mano a chef italiani, non c’è più l’egemonia francese. 
«Vero! Ora anche molti italiani sono apprezzati all’estero, ma solo i fuoriclasse però…» e sorride sornione, tra il serio e il faceto. «Beh, il “marchio Italia” è più forte dei singoli chef, nonostante quelli in circolazione siano bravissimi. Anche questa è una grande differenza: lo chef francese viene chiamato per il suo nome, non perché rappresenti la Francia; il Made in Italy è invece potente nel mondo, ancora di più dei singoli cuochi che lo rappresentano».

Sembra quasi che esista da sempre un filo rosso che unisce le due cucine, fin dal Rinascimento, un continuo scambio di prodotti, tecniche, ricette e ora anche di cuochi. E Giuliano Sperandio è l’ultimo favoloso esempio di questa sinergia centenaria.

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