Enrico Crippa e l’incanto delle Langhe
La tradizione gourmande suggerisce di presentarsi nelle Langhe in autunno, quando il tartufo, i funghi e il mosto d’uva sprigionano i loro effl uvi nelle narici degli innumerevoli turisti. Ma è invece a primavera-estate che il microcosmo piemontese offre i suoi migliori frutti, nel momento in cui i fiori e i germogli della verdura spuntano felici e saporiti dal terreno.
Ad Alba, capitale dell’impero tartufato, c’è lo chef Enrico Crippa che ha capito esattamente come funziona il sacro gioco della natura, e la sua cucina è uno splendido esempio di come il paesaggio langarolo si possa plasmare in strabiliante cucina d’avanguardia.
Dopo aver girato il mondo in lungo e in largo, dal Giappone alla Francia, passando dal maestro Marchesi e dal genio futuristico Ferran Adrià, Crippa è arrivato alla corte della famiglia “baroleggiante” Ceretto, per celebrare l’alta cucina in mezzo alle Langhe.
Ora lo chef originario della Brianza lombarda si diverte a seguire istintivamente il ciclo della natura. Alti e bassi, fioriture e lento cader di foglie dagli alberi, freddo uggioso e prime gemme primaverili: le Langhe sembrano davvero il posto giusto per percepire il fluire delle stagioni.
«D’inverno sento la necessità di cucinare e nutrire i miei commensali di proteine animali, zuppe, fondi e vegetali ipogei; in primavera invece il discorso cambia radicalmente, perché è lo stesso corpo ad aprirsi al movimento della vegetazione. Fiori, germogli, erbe aromatiche, pesce e liquidi freschi iniziano a farsi largo nel mio menu».
Nelle Langhe Enrico Crippa ha trovato il suo Eden personale, in cui esprimere al meglio la simbiosi con l’ambiente: è solito uscire con la bicicletta tra i frutteti del Roero e le vigne del Barolo; andare al mercato a contrattare gli ingredienti più buoni. E poi via anche verso l’orto di proprietà del ristorante, in cui, grazie al giardiniere Walter e al patron biologico Alessandro Ceretto, le più inimmaginabili varietà di ortaggi giacciono chete e goduriose sotto il sole del Piemonte.
«Nei miei piatti io auspico armonia tra la cosa buona, l’innovazione, l’azzardo, l’universalità del vegetale. Il piatto è una mia scelta, ben ponderata e caleidoscopica allo stesso tempo. Nelle mie creazioni uso erbe tradizionali come il basilico, la calendula rossa, il dragoncello, la pimpinella, il trusset, il levistico e il tarassaco, e piantine non autoctone come la mizuma verde del Giappone, la senape rossa e nera della Cina, la fragola Mara di bosco della Francia.
Tutto ciò è dovuto alla mia memoria olfattiva durante i miei apprendistati all’estero. Anche l’Italia tutta mi intriga, perciò mi diletto col peperone di Senise originario della Lucania, con le diverse varietà di pomodori del Meridione, il basilico anice, la nepetella, le bizzarre zucchine pasticcine o le bietole dalle mille nuances. Vivo di colori e profumi vegetali nella mia cucina; trascorro una relazione simbiotica con l’universo della clorofilla. Senza frutta, verdura, semi, erbe e germogli la mia filosofia non avrebbe senso».
Enrico Crippa ne ha viste tante, la sua cucina d’avanguardia ne fa vedere tante. Il trucco è partire dal prodotto: sminuzzarlo, polverizzarlo, assumerlo crudo, cotto o tostato, affumicato o frullato. Per lui vivisezionare la materia prima è giocoforza, è un serio divertissement per intuire la ragione sociale del vegetale o dell’animale in questione.
Ad Alba, capitale dell’impero tartufato, c’è lo chef Enrico Crippa che ha capito esattamente come funziona il sacro gioco della natura, e la sua cucina è uno splendido esempio di come il paesaggio langarolo si possa plasmare in strabiliante cucina d’avanguardia.
Dopo aver girato il mondo in lungo e in largo, dal Giappone alla Francia, passando dal maestro Marchesi e dal genio futuristico Ferran Adrià, Crippa è arrivato alla corte della famiglia “baroleggiante” Ceretto, per celebrare l’alta cucina in mezzo alle Langhe.
Ora lo chef originario della Brianza lombarda si diverte a seguire istintivamente il ciclo della natura. Alti e bassi, fioriture e lento cader di foglie dagli alberi, freddo uggioso e prime gemme primaverili: le Langhe sembrano davvero il posto giusto per percepire il fluire delle stagioni.
«D’inverno sento la necessità di cucinare e nutrire i miei commensali di proteine animali, zuppe, fondi e vegetali ipogei; in primavera invece il discorso cambia radicalmente, perché è lo stesso corpo ad aprirsi al movimento della vegetazione. Fiori, germogli, erbe aromatiche, pesce e liquidi freschi iniziano a farsi largo nel mio menu».
Nelle Langhe Enrico Crippa ha trovato il suo Eden personale, in cui esprimere al meglio la simbiosi con l’ambiente: è solito uscire con la bicicletta tra i frutteti del Roero e le vigne del Barolo; andare al mercato a contrattare gli ingredienti più buoni. E poi via anche verso l’orto di proprietà del ristorante, in cui, grazie al giardiniere Walter e al patron biologico Alessandro Ceretto, le più inimmaginabili varietà di ortaggi giacciono chete e goduriose sotto il sole del Piemonte.
«Nei miei piatti io auspico armonia tra la cosa buona, l’innovazione, l’azzardo, l’universalità del vegetale. Il piatto è una mia scelta, ben ponderata e caleidoscopica allo stesso tempo. Nelle mie creazioni uso erbe tradizionali come il basilico, la calendula rossa, il dragoncello, la pimpinella, il trusset, il levistico e il tarassaco, e piantine non autoctone come la mizuma verde del Giappone, la senape rossa e nera della Cina, la fragola Mara di bosco della Francia.
Tutto ciò è dovuto alla mia memoria olfattiva durante i miei apprendistati all’estero. Anche l’Italia tutta mi intriga, perciò mi diletto col peperone di Senise originario della Lucania, con le diverse varietà di pomodori del Meridione, il basilico anice, la nepetella, le bizzarre zucchine pasticcine o le bietole dalle mille nuances. Vivo di colori e profumi vegetali nella mia cucina; trascorro una relazione simbiotica con l’universo della clorofilla. Senza frutta, verdura, semi, erbe e germogli la mia filosofia non avrebbe senso».
Enrico Crippa ne ha viste tante, la sua cucina d’avanguardia ne fa vedere tante. Il trucco è partire dal prodotto: sminuzzarlo, polverizzarlo, assumerlo crudo, cotto o tostato, affumicato o frullato. Per lui vivisezionare la materia prima è giocoforza, è un serio divertissement per intuire la ragione sociale del vegetale o dell’animale in questione.