Dalla tradizione piacentina a un nuovo classicismo: il racconto culinario di Daniele Repetti

Daniele Repetti è uno di quei cuochi che non si limitano a cucinare, ma trasformano la cucina in un linguaggio, in una trama sottile di memoria e presente che si intreccia con naturalezza.
Con il suo
Nido del Picchio a Carpaneto Piacentino, approdo di fine dining elegante e intimo, accoglie gli ospiti come in un piccolo teatro senza sipario, dove ogni piatto diventa racconto e gesto di cura. Dopo esperienze decisive all’Antica Osteria del Teatro di Piacenza, al Tulà di Roma e all’Enoteca di Bobbio, Repetti ha trovato la sua voce in una cucina che non rincorre le mode, ma preferisce farsi ascoltare piano: la filosofia è far sentire coccolato il cliente senza rinunciare alla ricerca, evitando l’eccesso di concettualismo e mettendo sempre al centro l’ingrediente, riconoscibile, rispettato, trattato come un ospite. Nascono così piatti come gli gnocchi farciti, inversione poetica della tradizione in cui il condimento si nasconde dentro come un segreto, i risi mantecati che seguono le stagioni, i raviolini del plin con ripieno di cortile ed essenza di crostacei, i pisarei piacentini con crema di piselli e zafferano o gli gnocchi di caponata con petali di Tête de Moine: tasselli di un mosaico che racconta prima di tutto Piacenza, e poi il mondo.



Per un piacentino la pasta non è semplice alimento, è rito, ed ecco che l’infanzia di Repetti torna nei ricordi di tortelli e anolini messi in fila da bambino, con la tentazione di rubarne qualcuno crudo: un piccolo sacrilegio che racchiude il seme della sua passione. Oggi la pasta resta centrale, ma calibrata con intelligenza: meno quantità e più intensità, perché in un percorso di fine dining deve lasciare il segno senza pesare. L’anolino piacentino in brodo resta il suo piatto del cuore, i pisarei rivisitati con verdure e pancetta croccante sono l’incontro tra tradizione e libertà, mentre non manca la curiosità per le invenzioni altrui, come la parte croccante della lasagna di Bottura.



Tra tutte, la pasta lunga e in particolare lo spaghettone è per lui il “new classic”, evocazione di un gesto cinematografico che ricorda Alberto Sordi e i suoi maccaroni, ma con una misura più raffinata, più gourmet. Per il progetto Al Bronzo di Barilla, Repetti ha scelto di ribaltare i canoni emiliani con un piatto vegano che esalta la pasta secca: Spaghettoni su crema di aglio nero fermentato, quasi una maionese di soia, con peperoncino, crema di cime di rapa, briciole di pane alle erbe – il cacio dei poveri – e polvere di pomodoro. Un gioco di contrasti balsamici, erbacei e amari, dove ogni boccone è un dialogo tra opposti che si incontrano. Non sorprende che prediliga la trafilatura al bronzo: la rugosità che trattiene il sugo non è solo tecnica, è metafora di un abbraccio, la stessa idea che guida la sua cucina, dove gli elementi restano riconoscibili ma trovano forza nella loro relazione. Raccontare Daniele Repetti significa allora raccontare un cuoco che non ha mai dimenticato l’odore della farina rubata da bambino, un uomo che ha scelto la finezza senza tradire la sostanza e che fa della pasta, fresca o secca, lunga o ripiena, il filo rosso di una cucina capace di far sentire ogni ospite, sempre, a casa.

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