Dalla Francia al ristorante Seta di Milano, il percorso di Antonio Guida
A Parigi andò a lavorare da Pierre Gagnaire, uno dei più grandi chef che il nostro piccolo pianeta abbia mai avuto in menu. «Nel pomeriggio, al posto di andare a casa a riposarmi, andavo da Didier, il pasticciere di Gagnaire, ad apprendere tecniche sempre nuove.
Il desiderio di diventare un pasticciere non è mai calato nelle mie aspirazioni, ma dallo chef tristellato di Parigi ho imparato ben altro: a uscire dagli schemi, a osare, ad accostare gusti sulla carta impossibili ma sul piatto fenomenali.
Nel 1998, da lui, si potevano vedere abbinamenti contemporanei, come combinare elementi dolci a salato, futuristica, a quei tempi, la sua “triglia con marmellata di rabarbaro” (Non perderti anche la ricetta Farfalle al basilico con curcuma, Granceola all'arancia e Orata Confit di Antonio Guida). Gagnaire è stato per me uno stimolo da terremoto, lui è un Mozart che cambiava e cambia tuttora continuamente stile, ogni giorno un piccolo mutamento che alla fine dell'anno porta a risultati mastodontici.
Ora i ragazzi vanno a lavorare nelle cucine dei grandi cuochi 2/3 mesi, forse mezz'anno o tutt'al più un annetto; da Pierre Gagnaire un anno non equivaleva a un “anno”, ma a 365 giorni di continui esperimenti, giochi di procedure culinarie, progetti di gusto in divenire, riesumazioni di sapori e accantonamenti, piatti immortali che ogni giorno nascono e muoiono nella testa dello chef e le mille mani della brigata a cercare di riprodurli al meglio, inserendoli con sudore ed entusiasmo nei ricettari. In quel ristorante ci sono stato “solo” due anni, ma mi sembra invece di esserci vissuto per lustri».
Antonio Guida deve tutto allo chef francese, tecniche e sapori sempre più nuovi, quell'apertura mentale necessaria a spadellare anche la materia divina, se necessario. La lavorazione e la cottura delle carni, la preparazione dei fondi, le basi primarie, ma più che altro il gioco degli abbinamenti, come la mitica “salsa di ricci con manzo” degli anni '90.
Dopo 730 giorni a Parigi ha capito che bisogna “entrare” dentro il prodotto perché, solo assaggiandolo e astraendolo in un contesto più grande come la cucina mondiale, si può trovare la sua poliedricità e duttilità negli accostamenti. Quando uno continua a cercare, prima o poi trova il tesoro gustoso.
Nel 2000 poi è atterrato all'Enoteca Pinchiorri di Firenze, ancora con due stelle Michelin e con a capo la diarchia di Italo Bassi e Riccardo Monco. Vi restò solamente un anno, ma fu davvero formativo per imparare la cucina toscana e la grande cucina classica italiana. Fa sempre bene per un cuoco sciacquare i gastro-panni in Arno.
Nel 2001 giunse quindi in un altro tempio dell'alta gastronomia italica, il Don Alfonso 1890 a Sant'Agata dei due Golfi, in Costiera Amalfitana: «Qua ho soffermato il mio cervello sulla ricerca ossessiva del prodotto, quella ricerca felice della materia prima eccezionale, unica, perfetta; qui con la famiglia Iaccarino si andava quasi ogni giorno all'azienda ortofrutticola di proprietà, a strapiombo sul mare, coi limoni e il vento della Costiera che rinfrescavano e aromatizzavano il mio umore durante le stagioni. È la vera cucina di prodotto, che ora tanto professo qui al Seta».
Classicità della cucina, innovazione negli abbinamenti, la mania degli ingredienti ricercati: da ogni luogo di formazione lo chef Guida ne ha tratto i dadi, gli stessi che ora sta lanciando al Mandarin Oriental.
«Nel 2002, infine, sono arrivato al Pellicano in Toscana, in veste di chef responsabile, e qui ci sono stato per ben quattordici anni. Per me è stata una grande famiglia e in tutte queste stagioni ho avuto sempre carta bianca per esprimermi.
Si lavorava sei mesi, di fila e intensissimi, da maggio al 15 ottobre; in inverno io e la brigata viaggiavamo molto, sia per le consulenze sia per le promozioni in tutto il mondo (New Delhi, NY, Tokyo), e questi momenti di “libertà” fuori dal mondo Pellicano hanno dato a me e al mio team l'opportunità di studiare nuovi stili e influenze, oltre che le altre cucine del mondo.
Ci ha permesso di riflettere su quello che si doveva fare di nuovo, conoscendo altri chef, altri prodotti (come le spezie!), altre tecniche. Anche qua mi si è aperta la mente, ho acquisito maggiori sicurezze in me stesso e ho creato le basi empatiche e relazionali con la mia brigata del futuro, quella con cui adesso sto costruendo il Seta a Milano...»