Carlo Spina: dal Mediterraneo al lago

Nato a Napoli e cresciuto tra il profumo del ragù e la brezza del mare, Carlo Spina ha costruito la propria identità gastronomica attraversando l’Italia come un moderno Ulisse, cercando non Itaca ma il senso profondo della cucina italiana, frammentata ma coerente come un mosaico.

Dalla riviera romagnola al Piemonte, da Parma alla Costiera, ogni tappa è stata per lui un apprendistato umano prima ancora che tecnico. La sua prima rivoluzione, nel 2003, è stata portare l’alta cucina nel cuore di Napoli con il ristorante Radici, che ancora oggi vive nel ricordo dei suoi concittadini come un luogo di epifanie gastronomiche. E poi la stella Michelin alla Cantinella, il trasferimento in Spagna durante il Covid, fino all’approdo sulle sponde del Lago d’Iseo, dove oggi dirige la cucina di un ristorante che fonde la Campania e la Lombardia in un abbraccio delicato ma deciso, come una danza tra due amanti.


Nel suo pantheon personale, la pasta occupa un altare centrale. «La pasta è il Sud, è radice e cima, memoria e progetto. La pasta è viva: cambia, si adatta, reagisce. Non è un semplice ingrediente, è un organismo che va rispettato, studiato, ascoltato.»

E proprio per questo lo chef non la tratta mai come un complemento ma come protagonista. Dalle paste fresche come il Cappellaccio di agnello con crema di piselli a quelle secche come lo spaghettone, ogni formato è scelto, provato e testato. In quest’ottica, la collaborazione con la Pasta al Bronzo Barilla ha rappresentato per Spina un’opportunità e una sfida. La superficie ruvida dello spaghettone trafilato al bronzo, capace di trattenere sughi e profumi, è diventata la tela ideale su cui dipingere uno dei suoi piatti: Spaghettone aglio Orsino, anemoni, ricci di mare e romice scudato. Una tavolozza di mare, terra e bosco, dove l’aglio novello profuma come un verso di Saba e il romice chiude il piatto con una nota acida.
È un piatto che celebra il Mediterraneo ma con lo sguardo rivolto ai boschi nordici, un crocevia di sapori che vibra nella sua intensità. «Ci ho lavorato per un mese», racconta lo chef, «Ogni dettaglio, dalla mantecatura al taglio del tempo di cottura, è stato pensato per valorizzare quella pasta.»

Ogni formato è una forma di linguaggio, ogni grano, ogni tipo di trafilatura è oggetto di studio, perché la pasta è anche tecnica: «È lì che si riconosce la mano dello chef. Va saltata, mantecata, servita al momento. Non ammette scorciatoie». Anche per questo, in cucina, Spina pretende qualità assoluta: «Sono affascinato dalla lenta essiccazione, dal lavoro dei piccoli pastifici artigianali. Ma anche in una grande produzione può esserci arte, se dietro c’è rigore!».

Emblematica è la Mesca francesca (pasta mischiata) , piatto-simbolo che ha radici nella tradizione popolare di Gragnano, quando i pastai vendevano gli “scarti” a basso prezzo. Oggi è diventata alta cucina: Spina la propone con un ragù di crostacei – scampi, astice, granchio – e una nota fresca di basilico e limone. «È troppo buona per non metterla in carta. È brodosa e irresistibile. È Napoli in un piatto».


Tra le sue nuove creazioni, spicca il piatto pensato per Al Bronzo Barilla: Spaghettone agli Orsino, anemoni, ricci di mare e romice scudato. Un incontro vertiginoso tra terra e mare, tra minerale e iodato. «Ci ho lavorato per un mese. Doveva essere perfetto per quella pasta. Volevo enfatizzarne la rugosità, il modo in cui trattiene il sugo».
La preparazione è meticolosa: l’aglio orsino – erbaceo, delicato, primaverile – viene trasformato in crema, che accoglie lo spaghettone negli ultimi minuti di cottura. Gli anemoni di mare, sapidi e amari, sono rosolati a parte. I ricci di mare completano il tutto con la loro dolcezza marina. E il romice scudato, una varietà di acetosella, dona freschezza e acidità. «È il mio piatto preferito del momento. Complesso, ma immediato. Come un’opera di Debussy: senti tutto, ma non capisci da dove arriva l’incanto».
Per Spina, la cucina contemporanea non è negazione della tradizione, ma il suo naturale sviluppo. Il ragù napoletano «quello che cuoceva anche due giorni, che ti nebbiava la casa» è stato reinterpretato mille volte. Ha creato ravioli ripieni di carne al ragù serviti con aria di parmigiano, tortelli e arancini alla genovese. «La memoria è il punto di partenza, ma devi avere il coraggio di trasformarla».


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