Billis: l’anima doppia della nuova tradizione

Alessandro e Filippo Billi hanno 35 anni, sono fratelli gemelli e gestiscono l’Osteria Billis, al plurale, segno di molteplici sfumature. Alessandro è chef, mentre Filippo è maître, ma si sentono una cosa unica, oltre i ruoli: cucina aperta alla sala e viceversa, anche per l’affinità della formazione dei due, avvenuta tra Venezia, Giappone (con Luca Fantin), Milano (con Andrea Berton) e confluita nel primo progetto a Padova e poi qui, a Tortona, recuperando le origini.


La scelta della location, di fronte alla stazione ferroviaria, non è casuale: è un punto di passaggio, simbolo di movimento, incontri e storie che si intrecciano. Per i gemelli questa non è una carriera, ma una vita, a cui si sommano le vite di chi va a trovarli come clienti, o quelle dei produttori, vignaioli, artigiani con cui lavorano. I rapporti umani sono, quindi, il fulcro dell’ospitalità Billis, intaccando inevitabilmente la loro cucina, oggi talmente libera che si augurano che le loro ricette possano essere replicate a casa, nel segno di una nuova tradizione. Per esempio, il Buba Toast è composto da pane tostato con gamberi, ma può adattarsi a qualsiasi proteina. Il Carpaccio in ramino unisce l’idea della cottura
shabu-shabu all’artigianalità dei maestri ramai della zona, che hanno creato per loro una padella di rame apposita, in cui cuocere delle fettine sottilissime di fassona piemontese. La tradizione, dunque, non è immobile, ma qualcosa che nasce, si evolve, viene condivisa e replicata.



La pasta è un po’ l’emblema di questa filosofia, come narra chef Alessandro: «Le prime sensazioni sulla pasta sono legate a nostra madre, Beatrice. Faceva una pasta al pomodoro che oggi potremmo considerare completamente “sbagliata”: dolcissima per via delle carote, mantecata con tantissimo burro. Ma quel sapore, quei difetti, erano perfetti per noi: parlavano di amore, casa, felicità. Sono errori diventati icone, ricordi affettivi che superano il gusto. Più tardi, nel mio percorso professionale, la pasta ha assunto tante forme, da simbolo popolare a elemento di alta cucina. È un alimento incredibile: lo si trova negli aiuti umanitari in zone di guerra come sulle tavole più raffinate. Sempre grano e acqua è, ma con un potenziale infinito». Nell’Osteria offrono tre piatti di pasta. Il primo è il Lenzuolo, una specie di malfatto gigante, lungo 30 cm, condito con un pesto alla genovese, pinoli e ricotta ovina. Il secondo è il Tagliarin al doppio ragù (vitello e manzo), servito con pane a parte, per la scarpetta. Infine, la pasta secca è rappresentata da un “Mezzo Pacco”, omaggio proprio alla pasta al pomodoro di mamma Beatrice.

Per la creazione firmata Barilla al Bronzo, i due gemelli Billi hanno preso ispirazione da una tecnica che li rappresenta molto: il riso arrosto, questa volta replicato con la pasta rotta. Il concetto nasce da un gesto quotidiano: unire i fondi dei pacchi aperti. Così nasce il piatto: una teglia, una miscela di formati spezzati, una salsa o un brodo, e una cottura al forno. Niente mantecature, niente padella, ma condimenti vari, come pomodoro, granchio, asparagi, pollo al curry, nel segno della libertà creativa. E poi tempo, calore e stratificazione. È una visione, più che una ricetta: trasformare la rottura in valore, l’arrosto in rito, l’imperfetto in futuro. È una pasta rotta, arrostita, che vive una nuova gloria e che potrebbe diventare proprio una nuova tradizione.


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