Antichi Sapori: Pietro Zito dall'orto alla tavola
«Abbiamo cucinato sempre cose semplici, ma mi ricordo un aneddoto al Salone del Gusto di Torino, abbastanza emblematico: mi chiamarono per fare un piatto e mi inventai qualcosa di assurdo per i tempi, qualcosa di ancora sconosciuto nel mondo fighetto e gourmet che si andava plasmando in Italia. Feci delle orecchiette con grano arso, una meravigliosa fenice della storia culinaria in Puglia, che 25 anni fa nessuno conosceva fuori dai confini. Le accompagnai alla purea di fave, le olive alla brace, ricotta dura e olio novello. Unii gli elementi in un unico piatto e la gente impazzì». Non ci vuole molto a immaginarlo, si sentono fin da qui gli odori e i profumi, anche se sono passati anni da quel ricordo. Non ci vuole molto a capire quanto le persone, oramai proiettate alla ricerca del sempre più nuovo e sconvolgente, si possano ancora emozionare per dei sapori così veri, originali e ormai quasi introvabili. Ma non è finita: ecco un altro aneddoto, più divertente e molto più esaustivo.
L’Incontro con il Conte
«Sempre nel 1992, una sera, eravamo in osteria e mia madre, come al solito, cucinava le orecchiette al ragù, coi fagioli o con le cime di rape. A un certo punto arriva il Conte Spagnoletti, dell'azienda vinicola lì accanto, uno dei primi ospiti e fin dagli esordi sostenitore della nostra causa. “Stasera che altro hai in carta, Pietro?” mi chiese; “come altro?! lo sa che qui facciamo pochissimi piatti... Vuole provare il piatto più stupido della terra? Quello che nessuno vorrebbe mai prendere al ristorante perchè ciascun pugliese se lo potrebbe fare a casa? Se vuole le faccio preparare gli trascinati (orecchiete più grosse, ndr) con rucola selvatica e pomodorino?” gli chiesi ridendo, sicuro che mi avrebbe liquidato in pochi istanti. Quella era una semplicissima ricetta della tradizione popolare, una provocazione. Ebbene, il conte scelse proprio quello. Voleva mangiare come a casa!
Allora ci attivammo come formiche pronte all'attacco invasivo di pipistrelli, talpe, bradipi e formichieri vari: mio padre uscì fuori con la pila per cercare la rucola, mia nonna impastava velocissima le orecchiette e infine qualcuno, non mi ricordo chi, raccolse 4-5 pomodorini dall'orto accanto all'osteria... E fu così che conquistammo il cuore del Conte».
Tradizione, onestà e semplicità
Senza scomodare neuropsicologi o filosofi della mente, la ricetta semplice è quella che conquista il cuore delle persone. La nostra mente non vuole fare confusione, vuole avere ordine e pulizia nel vocabolario della cucina. La nostra esistenza vuole essere svegliata dal torpore della vita di tutti i giorni con un piatto che le ricordi la bellezza della stessa vita di tutti i giorni. La cucina troppo creativa distoglie forse la concentrazione dal presente, fa sognare, è vero, ma poi riporta in terra troppo velocemente. È forse troppo traumatica. È per questo forse che i grandi chef italiani stanno tornando al valore dell'ingrediente come base del ricordo; le ricette della tradizione, seppur reinterpretate, appaiono come veicolo di rilassamento emotivo, di comfort culturale e psicologico che può riportare la mente ai vecchi fasti del focolare domestico, alle nonne che coccolano e alla gioiosa baldoria dei pranzi di famiglia in campagna, in vacanza o nei momenti di festa. Ormai ci siamo accorti che nei menu stellati e in quelli d'avanguardia c'è sempre un piatto che gravita in qualche modo intorno alla tradizione, o quantomeno che ricordi al gusto la tradizione. Per Pietro Zito onestà e semplicità sono quindi le basi della ristorazione del futuro.
E in questo è un precursore: cucina tradizionale ma fatta in modo certosino, estremo nella scelta degli ingredienti e nelle tecniche di cottura, onesto scambio di pensiero con i contadini. Pietro Zito sta forse creando i nuovi dettami di un'alta cucina italiana alternativa? Non lo sappiamo ancora: ai posteri l'ardua sentenza, ma si può di certo affermare che il suo reale contributo alla cucina italiana sia quello di aver elevato e glorificato l'agricoltura nel mondo dell'alta ristorazione, nonostante sia stata da sempre relegata ai margini rispetto alla centralità dello chef, della “location”, della creatività nel cucinare, nei menu particolari, nel servizio lussuoso o meno.
Montegrosso caput mundi
Negli ultimi anni la responsabilità dell'osteria Antichi Sapori è diventata alta, altissima. Da decenni ormai detiene lo scettro della chiocciola Slow Food, e quindi è tra le migliori osterie d'Italia; e quest'anno è entrata anche nella prestigiosa classifica di Besha Rodell, famosa giornalista ed editorialista del New York Times con i suoi 50 migliori ristoranti del mondo. Pietro Zito è osannato da Lidia Bastianich, che da lui è venuta a mangiare e a fare lezioni di cucina pugliese. Lo invitano da tutte le parti, a Tokyo insieme ai maestri della tradizione e a Pechino per l'Italian Cuisine Summit. Interviste e reportage televisivi sono all'ordine del giorno. Ormai non si può più scherzare.
«Con tutti questi numeri e questa pressione su di me e sull'Osteria Antichi Sapori non posso più sbagliare, non posso più andare da un cliente e dire “no, mi sono appena finiti i germogli di zucchine, posso farti delle orecchiette alla rucola e pomodorini?”.
No, non si può più, perchè ora Pietro Zito è diventato uno dei grandi esempi delle nuove generazioni di cuochi, quelli che partono dalle straordinarie materie prime dello Stivale per interpretarle e proporre una cucina vera, di prodotto, naturale, sana e stagionale, che si basa sulle verdure e le proteine animali di massima qualità, rispettosa del lavoro nei campi e negli allevamenti. In quattro parole: la vera cucina italiana.
Tratto da Pietro Zito di Carlo Spinelli, foto di Giuseppe Tricarico, IS N° 34
Ecco Pietro Zito: l'anima bucolica delle Murge
L’Incontro con il Conte
«Sempre nel 1992, una sera, eravamo in osteria e mia madre, come al solito, cucinava le orecchiette al ragù, coi fagioli o con le cime di rape. A un certo punto arriva il Conte Spagnoletti, dell'azienda vinicola lì accanto, uno dei primi ospiti e fin dagli esordi sostenitore della nostra causa. “Stasera che altro hai in carta, Pietro?” mi chiese; “come altro?! lo sa che qui facciamo pochissimi piatti... Vuole provare il piatto più stupido della terra? Quello che nessuno vorrebbe mai prendere al ristorante perchè ciascun pugliese se lo potrebbe fare a casa? Se vuole le faccio preparare gli trascinati (orecchiete più grosse, ndr) con rucola selvatica e pomodorino?” gli chiesi ridendo, sicuro che mi avrebbe liquidato in pochi istanti. Quella era una semplicissima ricetta della tradizione popolare, una provocazione. Ebbene, il conte scelse proprio quello. Voleva mangiare come a casa!
Allora ci attivammo come formiche pronte all'attacco invasivo di pipistrelli, talpe, bradipi e formichieri vari: mio padre uscì fuori con la pila per cercare la rucola, mia nonna impastava velocissima le orecchiette e infine qualcuno, non mi ricordo chi, raccolse 4-5 pomodorini dall'orto accanto all'osteria... E fu così che conquistammo il cuore del Conte».
Tradizione, onestà e semplicità
Senza scomodare neuropsicologi o filosofi della mente, la ricetta semplice è quella che conquista il cuore delle persone. La nostra mente non vuole fare confusione, vuole avere ordine e pulizia nel vocabolario della cucina. La nostra esistenza vuole essere svegliata dal torpore della vita di tutti i giorni con un piatto che le ricordi la bellezza della stessa vita di tutti i giorni. La cucina troppo creativa distoglie forse la concentrazione dal presente, fa sognare, è vero, ma poi riporta in terra troppo velocemente. È forse troppo traumatica. È per questo forse che i grandi chef italiani stanno tornando al valore dell'ingrediente come base del ricordo; le ricette della tradizione, seppur reinterpretate, appaiono come veicolo di rilassamento emotivo, di comfort culturale e psicologico che può riportare la mente ai vecchi fasti del focolare domestico, alle nonne che coccolano e alla gioiosa baldoria dei pranzi di famiglia in campagna, in vacanza o nei momenti di festa. Ormai ci siamo accorti che nei menu stellati e in quelli d'avanguardia c'è sempre un piatto che gravita in qualche modo intorno alla tradizione, o quantomeno che ricordi al gusto la tradizione. Per Pietro Zito onestà e semplicità sono quindi le basi della ristorazione del futuro.
E in questo è un precursore: cucina tradizionale ma fatta in modo certosino, estremo nella scelta degli ingredienti e nelle tecniche di cottura, onesto scambio di pensiero con i contadini. Pietro Zito sta forse creando i nuovi dettami di un'alta cucina italiana alternativa? Non lo sappiamo ancora: ai posteri l'ardua sentenza, ma si può di certo affermare che il suo reale contributo alla cucina italiana sia quello di aver elevato e glorificato l'agricoltura nel mondo dell'alta ristorazione, nonostante sia stata da sempre relegata ai margini rispetto alla centralità dello chef, della “location”, della creatività nel cucinare, nei menu particolari, nel servizio lussuoso o meno.
Montegrosso caput mundi
Negli ultimi anni la responsabilità dell'osteria Antichi Sapori è diventata alta, altissima. Da decenni ormai detiene lo scettro della chiocciola Slow Food, e quindi è tra le migliori osterie d'Italia; e quest'anno è entrata anche nella prestigiosa classifica di Besha Rodell, famosa giornalista ed editorialista del New York Times con i suoi 50 migliori ristoranti del mondo. Pietro Zito è osannato da Lidia Bastianich, che da lui è venuta a mangiare e a fare lezioni di cucina pugliese. Lo invitano da tutte le parti, a Tokyo insieme ai maestri della tradizione e a Pechino per l'Italian Cuisine Summit. Interviste e reportage televisivi sono all'ordine del giorno. Ormai non si può più scherzare.
«Con tutti questi numeri e questa pressione su di me e sull'Osteria Antichi Sapori non posso più sbagliare, non posso più andare da un cliente e dire “no, mi sono appena finiti i germogli di zucchine, posso farti delle orecchiette alla rucola e pomodorini?”.
No, non si può più, perchè ora Pietro Zito è diventato uno dei grandi esempi delle nuove generazioni di cuochi, quelli che partono dalle straordinarie materie prime dello Stivale per interpretarle e proporre una cucina vera, di prodotto, naturale, sana e stagionale, che si basa sulle verdure e le proteine animali di massima qualità, rispettosa del lavoro nei campi e negli allevamenti. In quattro parole: la vera cucina italiana.
Tratto da Pietro Zito di Carlo Spinelli, foto di Giuseppe Tricarico, IS N° 34
Ecco Pietro Zito: l'anima bucolica delle Murge