Alberto Bertani: il custode dei sapori del nord più mediterraneo d’Italia

Ci sono percorsi tracciati sotto una luce naturale: senza effetti speciali, ma con una verità che abbaglia. Quella di Alberto Bertani nasce a Gargnano, piccolo borgo adorato da D.H. Lawrence e da chi conosce la poesia delle sponde del Garda. Da quel paesaggio — punteggiato di limoni, capperi e vento — sembra derivare una vocazione culinaria che lui conosce già a dieci anni.

La scuola alberghiera a Gardone è il prologo. Seguono gli stage in Sardegna e a Capo Verde, poi gli anni in montagna, quindi Villa Feltrinelli prima dell’arrivo di Stefano Baiocco: tre stagioni che gli regalano l’eleganza del grande albergo, i suoi riti, la sua disciplina. Quando alcuni clienti gli chiedono di diventare il loro chef privato, accetta: sei mesi che suonano come una parentesi narrativa, una di quelle pause che servono a cambiare traiettoria.



Il passo successivo è Salò: cinque anni da chef in un albergo a pochi metri da dove lavorerà in futuro. Li incontra quella che diventerà sua moglie e sua socia nel progetto più ambizioso: aprire un ristorante. Prima nell’entroterra, poi sulle rive del lago. «Ad aprile saranno undici anni qui, sedici di ristorante», racconta con la dolcezza severa di chi ha attraversato anche il dolore. Oggi prosegue l’avventura con Andrea, il suo braccio destro, e una sala affidata a mani sapienti. Intanto arrivano riconoscimenti: Gambero Rosso, Michelin, l’ingresso nella rete Territorio di Ducasse.

Il suo stile? Una cucina “semplice ma gustosa”. «Tre o quattro ingredienti per piatto, non di più». I capperi, simbolo del territorio e della sua infanzia, diventano il filo conduttore di un intero menu, fino a un dolce iconico dal titolo quasi cinematografico: Gargnano amore mio, giocato su limoni e capperi, in omaggio alla sua città natale.



La pasta, per lui, è materia narrativa: ricordo di famiglia, rito italiano e tecnica professionale. Ama le paste ripiene, fresche, e nella sua carta non mancano mai i classici rivisitati con eleganza: gli spaghetti mantecati al burro, con acciughe, caviale bresciano e polvere di lime; gnocchi in varie interpretazioni; fusilloni con estratto di mare; e i ravioli che diventano memoria pura, come Ti ricordi il pollo della domenica?

La trafilatura al bronzo, dice, gli ha offerto un’altra lente con cui guardare la pasta: consistenza, tenuta, capacità di abbracciare il sugo. Un dettaglio tecnico che diventa estetica, come la grana di un pennello sulla tela.
E se deve scegliere un nuovo classico, non ha dubbi: Mezzi Rigatoni con salsa di pomodoro, datterini confit, polvere di olive nere e spuma di parmigiano. La salsa è costruita come un’architettura di pomodori diversi: Cubello, Cuore di bue, San Marzano alla quale i Mezzi Rigatoni Barilla Al Bronzo si “avvinghiano” al condimento con decisione. La polvere di olive nere chiude il cerchio con un gesto secco, grafico; la spuma di parmigiano, servita a parte, è l’ultimo tocco: una parentesi che si apre sull’infanzia e si richiude sulla tecnica contemporanea.

È una sintesi perfetta del pensiero di Bertani: tradizione come struttura, modernità come scelta narrativa. Una pasta che non vuole stupire con effetti speciali, ma rivelare la bellezza di ciò che già conosciamo.

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