
Lo stile unico de “La Stüa de Michil” nel Sud Tirolo
Nelle zone alpine come quelle dell’Alto Adige il cuore della casa è la stanza che in ladino si chiama “stüa” e in italiano “stube”, perché prende il nome dalla stufa di maiolica, immancabile protagonista degli ambienti. Completamente rivestita e arredata in legno, un tempo la stube era l’unico locale riscaldato delle case e quindi il più vissuto e frequentato.
I valligiani esperti la ricavavano nella parte esposta a sud per sfruttare al massimo il calore del sole durante i lunghi e freddi inverni e facevano in modo che venisse alimentata dall’esterno, per evitare ogni dispersione di calore.
I mobili e i pavimenti di legno, le luci soffuse da paralumi in stoffa, le immancabili tendine a fiorellini o quadretti in armonia coi cuscini e i divani, persino quei gerani parigini inspiegabilmente sempre fioriti sui davanzali, fanno della stube un luogo dall’atmosfera quasi magica.
Anche “La Stüa de Michil” è così. Un piccolo ristorante con una trentina di posti in tutto. Un’autentica stube tirolese del ‘700, protagonista di un luogo dove “l’antico sapore di una volta” rivive avvolto in un’atmosfera languida e quasi fatata, raccolta e protetta da porticine così basse che per passare bisogna chinarsi.
L’ambiente è caldo e pervaso da una semplicità genuina e raffinata, come le antiche ricette ormai dimenticate che lo chef Arturo Spicocchi, uno che di fantasia ne ha da vendere, ma riesce a tenerla a freno rivisitando la cucina locale ladina e tirolese in chiave moderna, senza mai snaturarla e rispettando la sua identità propone ai suoi ospiti.
Ed è con l’ottima cucina, la grazia dei tavoli apparecchiati con tocchi di originalità, le bottiglie di vino a vista e una carta dei vini da 1.800 etichette, che “La Stüa de Michil” richiama buongustai da tutto il mondo, in questo piccolo angolo di paradiso, in bilico fra tradizione e innovazione sapientemente dosata, dove si possono ancora assaporare le atmosfere, i profumi e gusti semplici e genuini di una volta.
«È un luogo da “fu-turismo” questo - spiega con ironia il patron Michil Costa - perché io faccio l’oste, bevo vino e mi appassiona il “fu-turismo”: il turismo che fu. Quello che io desidererei ci fosse, quello più leggero, soave, meno incisivo e meno trasgressivo, e soprattutto che porti profitto a lungo termine. Per tutti. E non solo per i fortunati come me, che hanno la possibilità di avere un ristorante o dei letti da vendere».
I valligiani esperti la ricavavano nella parte esposta a sud per sfruttare al massimo il calore del sole durante i lunghi e freddi inverni e facevano in modo che venisse alimentata dall’esterno, per evitare ogni dispersione di calore.
I mobili e i pavimenti di legno, le luci soffuse da paralumi in stoffa, le immancabili tendine a fiorellini o quadretti in armonia coi cuscini e i divani, persino quei gerani parigini inspiegabilmente sempre fioriti sui davanzali, fanno della stube un luogo dall’atmosfera quasi magica.
Anche “La Stüa de Michil” è così. Un piccolo ristorante con una trentina di posti in tutto. Un’autentica stube tirolese del ‘700, protagonista di un luogo dove “l’antico sapore di una volta” rivive avvolto in un’atmosfera languida e quasi fatata, raccolta e protetta da porticine così basse che per passare bisogna chinarsi.
L’ambiente è caldo e pervaso da una semplicità genuina e raffinata, come le antiche ricette ormai dimenticate che lo chef Arturo Spicocchi, uno che di fantasia ne ha da vendere, ma riesce a tenerla a freno rivisitando la cucina locale ladina e tirolese in chiave moderna, senza mai snaturarla e rispettando la sua identità propone ai suoi ospiti.
Ed è con l’ottima cucina, la grazia dei tavoli apparecchiati con tocchi di originalità, le bottiglie di vino a vista e una carta dei vini da 1.800 etichette, che “La Stüa de Michil” richiama buongustai da tutto il mondo, in questo piccolo angolo di paradiso, in bilico fra tradizione e innovazione sapientemente dosata, dove si possono ancora assaporare le atmosfere, i profumi e gusti semplici e genuini di una volta.
«È un luogo da “fu-turismo” questo - spiega con ironia il patron Michil Costa - perché io faccio l’oste, bevo vino e mi appassiona il “fu-turismo”: il turismo che fu. Quello che io desidererei ci fosse, quello più leggero, soave, meno incisivo e meno trasgressivo, e soprattutto che porti profitto a lungo termine. Per tutti. E non solo per i fortunati come me, che hanno la possibilità di avere un ristorante o dei letti da vendere».