Ristoranti

Ramona Ragaini, un'autodidatta “padrona di casa che accoglie”

«Una domenica in cui il ristorante era particolarmente pieno mi sono offerta di dare una mano a mio marito». La strada di Ramona Ragaini ha incrociato quella del servizio di sala così, sette anni fa, in una domenica di molta confusione e poco personale al ristorante Andreina, guidato dal marito Enrico.
Autodidatta completa, Ramona si definisce una “padrona di casa che accoglie”, che guida con delicatezza le danze di una squadra composta di soli tre ragazzi e conduce per mano il cliente lungo la cena. Nella sua vita, il vino è passione prima ancora che lavoro, e anche al ristorante ha un ruolo di spicco: un altro protagonista a fianco del cibo, e non invece un comprimario. 

Andreina si trova nella cittadina di Loreto, provincia anconetana: la carta che Ramona ha composto si muove di conseguenza, snodandosi tra i vitigni delle Marche, cercando “di accontentare il cliente ma anche di sorprenderlo, scovando le aziende piccole e soprattutto divertendoci”. Dopotutto, Ramona pensa che la parola “cena” non descriva bene quello che si fa nel ristorante: «Non si viene da noi per mangiare, ma per fare un’esperienza. Ed è nostra responsabilità regalarne una indimenticabile»

Ramona non si ritiene ancora arrivata, e non pensa arriverà mai, in un lavoro che è aggiornamento, studio e ricerca continui. Un lavoro che dà molto, ma anche pretende, soprattutto il tempo: «Facciamo una vita diversa dalle persone normali. Ho due figli, Rachele di sei anni e Riccardo di tre. La prima è arrivata quando non avevamo ancora la stella Michelin, quindi me la sono goduta di più, ho avuto la possibilità di darle tantissime attenzioni. Lui invece è nato quattro giorni dopo l’annuncio della stella e quindi ho ricominciato a lavorare quasi subito. Negli anni ho sempre tolto, inevitabilmente, molto tempo alla famiglia». Se l’essere donna dà una grazia naturale nell’accogliere - “Quando vai al ristorante e ci sono la moglie, la compagna o la sorella del ristoratore che ti accolgono, per me è un valore aggiunto” - dall’altra parte c’è anche la fatica di una vita in cui ogni minuto di ogni giorno è organizzato all’incastro: “Non si può negare: gli uomini da questo punto di vista sono avvantaggiati”. L’essere donna, soprattutto, rende indispensabile diventare brave il doppio di un uomo. Non basta dimostrare di essere capaci, bisogna essere ancora più capaci per compensare l’appartenenza al genere femminile, uno stigma che è particolarmente vistoso nel mondo della ristorazione: «Non è un problema solo del nostro settore, ovviamente. Ritengo che noi donne siamo penalizzate in tutti gli ambiti. Però questo è sicuramente un ambiente maschile, molto più di altri. Pensiamo ai grandi nomi di sommelier in Italia: sono quasi tutti uomini, anzi, mi spingerei a dire che sono tutti uomini. Non mi viene in mente nessun nome femminile». “Però ce la stiamo mettendo tutta” aggiunge sorridendo. Lo stesso sorriso che mette nel spiegare che l’unica cosa che conta nel lavoro - più dei pregiudizi, della fatica, delle difficoltà - è vedere “il cliente che ritorna. E capire, quando lo vedi tornare, di aver fatto bene il tuo lavoro”. 

(Tratto da “Donne di sala” di Sara Porro, IS#25)

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