LUCIA TELLONE di Relais Villa La Bianca
Lucia Tellone, chef orgogliosamente autodidatta, non è il prototipo di quei giovani cuochi che si nutrono di contest, aspirano subito alle vette, vogliono bruciare le tappe, ambiscono solo a stage stellati da cui escono più confusi che persuasi, ma la protagonista di un percorso a ostacoli a lieto fi ne. Studia Lettere e Filosofi a con indirizzo giornalistico quando, per necessità, entra nelle cucine della Cantina del Brigante a Tagliacozzo a fare stagioni e week-end e, come spesso accade, ci rimane sei anni entrando in contatto con quello che sarà una costante e un’ossessione nel suo percorso professionale: gli artigiani del cibo. Quel mondo che sta nel backstage della ristorazione, fatto di pastori, piccoli allevatori, agricoltori, casari e norcini che operano lontano dai riflettori e garantiscono la sopravvivenza di tipicità territoriali spesso a rischio. Quel mondo di cui si parla sempre troppo poco quando non se ne mette addirittura a repentaglio l’esistenza con normative immotivatamente restrittive. Quel mondo cui lei stessa appartiene, con un nonno pastore impegnato stagionalmente con la transumanza, con un fratello che abbandona l’Università per tornare alla terra e fare il contadino, con una mamma e una nonna che in cucina perpetuano tradizioni e ricette. Quel mondo, infi ne, da cui Lucia deve necessariamente allontanarsi quando decide di voler crescere e ampliare confini geografi ci e mentali, ma che si porterà dietro nel suo lungo zingarare per l’Italia e in Europa. Pizzo Calabro, Venezia, il tentativo di alzare il tiro al Devero di Bartolini in quello che lei defi nisce il suo “servizio militare”, poi la fuga all’estero, in Norvegia, al Maeemo di Oslo dove impara a “fare da poco il molto” e dove apprezza innanzitutto il grande rispetto dello chef nei confronti della brigata. Al ritorno in Italia l’incontro e la collaborazione con Terry Giacomello, un sostegno importante nella sua vita professionale, una guida, uno sprone ad andare avanti anche nei momenti di maggiore sconforto. Ma l’attrazione fatale per la cucina nordica contemporanea l’allontana ancora una volta da casa e la porta al Frantzèn di Stoccolma, due stelle Michelin e tra i migliori ristoranti al mondo, dove s’imbeve di avanguardia senza dimenticare le radici.Dev’essere per quello che Carlo Cracco, l’amato-odiato e algido giudice di Masterchef, la nota e la inserisce tra dodici giovani ambasciatori del gusto che si distinguono per esperienze internazionali, il giusto radicamento alle origini e una spiccata propensione alle contaminazioni culturali. Un riconoscimento che le garantisce visibilità e una bella iniezione di ottimismo, decisamente vacillante dopo una serie di promesse non mantenute, di proposte mancate, di risposte non date. Un’ottimismo che evidentemente genera attenzione se subito dopo viene chiamata a Camaiore, al Relais Villa La Bianca, a dirigerne da executive la ristorazione. Una sfi da importante. Una opportunità unica di veicolare un messaggio ristorativo diverso. Un luogo di singolare bellezza dove portare con la sua cucina il valore aggiunto dell’esperienza unica. Se fino all’anno scorso ha però tenuto il freno tirato mescolando reminiscenze avanguardistiche alla tradizione e ai prodotti tipici toscani, per la riapertura in primavera le idee sono molto più chiare e bellicose: un menù della tradizione per non spezzare il cordone ombelicale con la clientela più ortodossa e un menù innovativo - né irrispettoso né sconvolgente - con il quale dire finalmente e liberamente la sua dopo anni di sgomitamenti e bocconi amari. “Non si può vincere né senza i Marsi né contro di essi” scriveva lo storico greco Appiano di Alessandria, e Lucia - marsicana doc - ne è la testimonianza.