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Il tartufo bianco di “Tano Passami l’Olio”

Tartufo bianco, tartufo nero, tartufo conservazione, cani da tartufo e piante da tartufo: il racconto di Tano Simonato, chef di “Tano Passami l’Olio” .
È arrivato l’autunno e si ha in mente solo il tartufo nero o bianco. Ma quante fandonie, quante leggende e racconti ruotano intorno a questo incredibile frutto della terra? Per sopire ogni dubbio a riguardo abbiamo chiesto delucidazioni a un bravissimo cuoco, Tano Simonato, chef e patron del ristorante gourmet “Tano Passami L’Olio” a Milano. La sua conoscenza della materia è a dir poco eccelsa: vedendo un tartufo sa dirne varietà, provenienza e soprattutto il livello qualitativo. Signori e signore, il tartufo secondo lo chef Tano Simonato! Personalmente ritengo che il tartufo non sia né un fungo (anche se ha spore) e che non sia nemmeno un tubero perché non ha radici. Anche se è un ipogeo della famiglia dei funghi, ha spore diverse e non sale in superficie. Il tartufo bianco (Tuber Magnatum Pico) è una "malattia" delle radici di alcune piante da tartufo come querce, tigli, castagni, salici e pioppi. Una volta effusa, il tartufo vive in simbiosi con lo stesso albero e non potrebbe sopravvivere né crescere di misura senza gli zuccheri forniti dalla pianta stessa. Questa malattia - che forse è impropria come definizione, visto il benessere che ci dona al gusto - fa nascere una placenta sottilissima al cui interno forma dei microalveoli, dispensatori di quel gas tanto pregiato che aromatizza il tartufo. Sono quindi questi microalveoli a donare questo profumo-odore così incredibile! I cani da tartufo ne sentono la presenza in virtù del loro profumo, anche a 30-50 cm sottoterra. Il tartufo, finita la stagione di riproduzione, rilascia le spore come semina dell'anno successivo; queste possono finire anche oltre il confine del perimetro della chioma dell'albero, ma questo evento si verifica molti anni dopo il primo ritrovamento, proprio perché le spore, con il tempo, allargano il loro raggio d'azione. Da tenere presente inoltre le condizioni climatiche, che devono coincidere con una annata buona o cattiva, un po' come l'uva o l’oliva. Le migliori aree da tartufo bianco di qualità sono il Piemonte, sopratutto nella zona di Alba (anche se dopo l'alluvione del 1985 ne ha pagato un po’ le conseguenze per il diradarsi delle spore), ma anche Ovada, Aquiterme e zone limitrofe, nelle Marche ad Acqualagna (qualità ottima soprattutto negli ultimi 10 anni), in Toscana e in Umbria. Il tartufo ha bisogno di terreno grasso con giusta umidità; ecco perché terreni argillosi non producono tartufi di qualità (vedi Slovenia e Albania). Potrebbe anche accadere che, con il passare dei secoli, si possa modificare il microclima e il tartufo riesca ad acclimatarsi anche in zone più argillose. E la tartufo conservazione? Il tartufo va conservato nella lana, possibilmente di ottima qualità. Il motivo è semplice: la lana è l’unico modo per conservare l’umidità, come si comportano i beduini nel deserto, che per non disidratarsi si coprono con coperte di lana. Anche la lana ha bisogno di essere asciugata almeno ogni due giorni. La temperatura non deve superare gli 8°C e non deve andare sotto lo 0°C.
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