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Giancarlo Perbellini si racconta, esce "Casa Perbellini"

Giancarlo Perbellini chiude il suo storico locale bistellato a Isola Rizza per aprire in centro a Verona. E festeggia raccontando in un libro la sua vita, le sue sfide, le sue ricette. Esce “Casa Perbellini”: prende il nome dal prossimo ristorante dello chef veronese il nuovo volume della collana Giunti Grandi Cuochi.

Nel libro, in libreria dal 24 settembre la vicenda di un giovane chef, erede di una famiglia di rilievo nell’ambito della pasticceria, che sceglie di percorrere la propria strada formandosi a fianco dei grandi, in Italia e Francia.

La prima sfida imprenditoriale, a lui molto cara, risale al 1989 e sta nella coraggiosa scelta di aprire il Ristorante Perbellini a Isola Rizza, sulla Verona-Rovigo: tenacia, impegno e talento verranno premiati dalla prima stella Michelin nel 1996 e dalla seconda sei anni più tardi.

Nel tempo vi affiancherà la Locanda estiva al Forte Village, in Sardegna, quattro ristoranti e una pasticceria a Verona, gestiti con alcuni soci e quest’anno la Locanda a Hong Kong.


E ora, il prossimo novembre, la novità che sta facendo parlare il mondo dei gourmet: l’abbandono di Isola Rizza e l’apertura di Casa Perbellini nel cuore di Verona, in piazza San Zeno proprio di fianco alla basilica.

Dopo l’ampia sezione curata dal giornalista Stefano Alfonsi dedicata alla vita e alla filosofia di Perbellini, il libro propone un corposo ricettario suddiviso in Benvenuti Antipasti, Primi piatti, Secondi piatti, Dessert e Preparazioni di base, illustrato dalle fotografie di Francesca Brambilla e Serena Serrani.

Tra le tante ricette per le quali è noto e apprezzato, “Wafer al sesamo con tartare di branzino”, “Caldofreddo di risotto mantecato all’olio di finocchio”, “Caviale affumicato e zabaglione ghiacciato”, “Colori e Sapori del mare”, che come tutte le sue creazioni testimoniano di una cifra personale ben caratterizzata: volutamente a margine delle mode e basata sui fondamenti della tradizione.

 

Dal libro: Un’idea di cucina

In partenza, il pensiero di diventare un grande chef era lontano anni luce dalla mente di Giancarlo Perbellini: «La fase dell’apprendimento non l’ho decisa io: puntavo a passare le stagioni estive negli alberghi, papà invece preferiva la via dei ristoranti di qualità. Come si vede, ha scelto lui. Il Marconi interpretava la classica cucina italiana con una cura maniacale dei particolari, al Desco si andava alla ricerca di qualcosa di nuovo per tentativi. Capii le differenze al San Domenico, un meccanismo che in Italia era agli albori con una cucina gourmet e banchettistica e un’enorme brigata di cucina. E a seguire la Francia, tappa obbligata per chi vuole fare questo mestiere dove apprendi rigore e metodologia. Da Taillevent avevano 140 coperti a mezzogiorno e 140 la sera, le comande le chiamavano col microfono. E Bernard Pacaud de L’Ambroisie saliva su un camion con 100 casse di porcini e ne sceglieva tre, non andava ai mercati generali ma si rivolgeva a pochi fornitori di fiducia, non aveva freezer e sottovuoto. Il suo era un ristorante anomalo, basato sulla semplicità».

Questo ed altro (come un quadernetto nel quale annotava le ricette nel periodo francese, e a fondo pagina aggiungeva idee per l’apertura del suo locale) ha permesso a Giancarlo Perbellini di sviluppare una precisa identità per la sua cucina: «Per “Colori e Sapori del mare” mi sono ispirato all’“Atto Unico” di Gualtiero Marchesi, il “Wafer al sesamo con tartare di branzino, caprino all’erba cipollina e sensazione di liquirizia” è stato ripreso dalla sfogliatina al sesamo di Pacaud elaborata a modo mio».

Di altri famosi chef Perbellini si è professionalmente innamorato: «Adoro Marc Veyrat e la sua cucina basata sulle erbe: quando l’ho conosciuto, ho alleggerito i miei piatti. Ho mangiato da lui 8-10 volte, ricevendo da ognuna di esse stimoli che mi portavo dietro per almeno tre mesi. Guardo con attenzione agli spagnoli fratelli Roca, geniali nella modernità ma molto pratici; all’inizio erano superiori ad Adrià, secondo il mio gusto».

Negli ultimi dieci anni Giancarlo ha intrapreso una via sempre più personale: più creativa in patria, vedi ad esempio il “Caviale affumicato e zabaglione”, meno estrosa all’estero, come adesso a Hong Kong, dove mira a far conoscere a fondo la cucina italiana e i suoi prodotti.

«Ho voluto, di proposito, restare al margine delle mode, senza per questo snobbare nessuno, ma provando a imporre una cucina che mi piacesse. Non sono mai ricorso all’uso dell’azoto liquido: si può farne a meno e offrire lo stesso grandi sensazioni in un piatto. Uso brodi, fondi, consommé da venticinque anni, li ritengo la base della classicità che va unita alla padronanza del mestiere».

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