Cantina Arnaldo Caprai: tra integrazione sociale e culturale

Il Sagrantino di Montefalco si fa portavoce e simbolo dell'inclusione. La maggior parte dei dipendenti della cantina Arnaldo Caprai sono giovani richiedenti asilo.
Da Arnaldo Caprai la parola chiave è integrazione e dei 92 dipendenti (grazie alla collaborazione con la Caritas di Foligno) 60 sono migranti richiedenti asilo.
«Questi giovani – spiega Marco Caprai - sono la parte migliore di una generazione, hanno alle spalle un percorso di studi, parlano due o tre lingue. Da noi sono impiegati in tutti i settori, nei campi o nei lavori di cantina. Vengono assunti come salariati agricoli, con tutte le carte in regola, poi seguono dalla potatura delle viti alla raccolta dell’uva. Sono lavori quasi a tempo indeterminato, in media lavorano fino a 180 giornate l’anno. Purtroppo, noi produttori del vino raramente ci possiamo permettere di assumere tutto il personale da gennaio a dicembre».

«La cornice – continua
 Marco Caprai - è quella della sostenibilità, e quella sociale è fondamentale. La Caritas, da quando abbiamo iniziato questo percorso, ci segnala i giovani disponibili a lavorare tra i nostri filari, facendo incontrare due necessità oggettive, perché da quando è stato istituito il reddito di cittadinanza è diventato difficile trovare manodopera. La campagna, del resto, per molti non è la prima scelta, e il Covid-19 ha persino peggiorato questa condizione. Negli ultimi anni, parallelamente all’azienda, è cresciuta la necessità di manodopera, ma è rimasta la volontà di trasparenza e giustizia contrattuale, il welfare è un tema importante e serio per un’impresa che voglia essere realmente sostenibile».

Una strategia utile a tutti: «È stato anche un modo – prosegue Caprai - per spazzar via i pregiudizi: chi pensava che i migranti fossero scansafatiche pronti a delinquere ha dovuto ricredersi. Questi sono ragazzi che partono prima dell’alba in bicicletta da Foligno a Montefalco, 7 chilometri al buio, per iniziare il turno alle 6. E mentre stanno qui imparano un lavoro, spesso duro».

Se sarà possibile, la prossima estate si festeggeranno i primi 50 anni di attività, ma è certo che la cantina non smetterà di accogliere i migranti.
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