Chef

Intervista a Danilo Ciavattini dell’Enoteca La Torre a Roma

Danilo Ciavattini, chef stellato dell’Enoteca La Torre a Roma. Il ruolo dello chef nella filiera e il pensiero della sua cucina in un’intervista di Roberta Castrichella a Roma.
Definisci la tua cucina “spina dorsale della campagna”. Ci spieghi questa definizione?
La “spina dorsale della campagna” è un concetto che vuole valorizzare l’idea della campagna e dei suoi prodotti e produttori. Mi piace lavorare su questo perché è una cosa che conosco bene, ho un’infanzia passata in campagna, quindi mi piace riportare nei miei menu queste memorie e sapori. La definizione di “spina dorsale di campagna” è un modo per rappresentarmi e rappresentare la mia cucina. Le mie origini, le mie radici, vengono arricchite da tutte le mie esperienze e dalle influenze di altre culture e nei piatti cerco sempre di combinare questi elementi.

In che modo porti le tue origini nei tuoi piatti, ci sono ingredienti particolari che utilizzi?
Ci sono dei piatti nati da un’ispirazione venuta proprio stando in mezzo alla campagna, come ad esempio la patata interrata che è stata ricostruita nello stato primordiale, nel momento in cui viene estratta dalla terra, quindi sono stati ricostruiti tutti i profumi vicini a quello stato, e questa patata è ricoperta di un terriccio a base di funghi. Non ho ingredienti a cui sono particolarmente legato, però cerco sempre di ricreare profumi e immagini dei piatti semplici e gustosi come erano quelli di campagna e della tradizione contadina, ma  li rielaboro sempre con la tecnica per creare ricette gourmet.

Le influenze straniere che ti hanno maggiormente arricchito sono quelle finlandese, francese e austriaca. Oggi come le ritroviamo nelle tue creazioni?
Beh ad esempio della cultura finlandese mi porto dietro il  modo di trattare il pesce, di marinarlo. Vista la gran quantità di laghi che ci sono in Finlandia, c’è un grande utilizzo di coregone e io ho pensato di riprendere le loro tecniche e di ricostruire questo sapore erbaceo utilizzando il coregone presente nei nostri laghi del viterbese.

Altri piatti a cui sei particolarmente legato?
Sono legato un po’ a tutti i piatti, perché comunque sono frutto di lavoro e sono il risultato di un percorso e una ricerca.

Quando presenti un piatto che sensazione speri di suscitare nel commensale?
Prima di tutto devo essere soddisfatto io del piatto dopo averlo preparato. Per quanto riguarda il cliente non parto mai con un’idea predefinita su ciò che un piatto dovrà suscitare, perché comunque un solo piatto può creare molteplici sensazioni, diverse a seconda della persona, però sono sempre attento al riscontro del cliente e mi piace ascoltare i pareri e le sensazioni. Spero sempre che la mia soddisfazione incontri la soddisfazione del cliente.

Il ristorante Enoteca La Torre è a Roma da giugno. Ci racconti quali sono i pregi e difetti di fare cucina gourmet in una città cosi tanto legata alla tradizione?
Per me tornare a Viterbo è stato come tornare a casa e chiudere un cerchio, perché comunque son partito da lì, poi mi sono spostato, ho fatto diverse esperienze e quando sono tornato ho potuto avere un riscontro del mio lavoro, e di tutto ciò che avevo imparato. Lo spostamento a Roma inizialmente l’ho vissuto come un altro distacco dai mie luoghi, mentre poi vivendo qui mi sono ambientato perché continuo a portare avanti la mia idea di cucina e il pubblico romano riesce a capirla e ad apprezzarla appieno.

Definisci la tua cucina con un aggettivo?
Sicuramente è una cucina minimalista perché mi piace mettere pochi ingredienti, in modo che possano sentirsi tutti, rispettando i sapori di ciascuno, specialmente quelli più freschi, e poi è una cucina leggera, nel gusto e nella percezione, ma profonda.

Perché assaggiare i piatti di Danilo Ciavattini?
Per tuffarvi nel mio mondo, nella mia campagna e nella mia cucina.

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