Marco Martini: da Antonello Colonna alla Stazione di Posta a Roma
Una simpatia contagiosa e un’umiltà propria dei veri “grandi” sono i punti di forza dello chef Marco Martini. Se a queste caratteristiche si aggiunge un pizzico di faccia tosta romanesca il mix è quello vincente. Non ha ancora 30 anni ma di strada ne ha fatta tantissima da quando, per arrotondare, faceva da fattorino per la pizzeria vicino a casa.
È stata la curiosità a farlo passare dalla sella del motorino alla pala del forno a legna e proprio in questa occasione Marco ha scoperto la sua innata e profonda passione per il mondo della cucina. Abbandonati pasta e condimenti ha prestato servizio in diversi ristoranti, passando perfino da Londra all’Apsleys di Heinz Beck e nel quartiere di South Kensington nella brigata di Tom Aikens.
«Tutte le esperienze sono in egual modo significative – racconta Martini – perché in qualsiasi cucina si possono apprendere modi di pensare e differenti approcci al lavoro. Credo si impari qualcosa anche dalle nonne ai fornelli!
L’avventura lavorativa che mi ha maggiormente formato è stata sicuramente quella durata ben sette anni al fianco di Antonello Colonna nel ristorante Open Colonna. È durante questa esperienza che, a soli 24 anni, ho conquistato la prima stella Michelin. All’epoca neanche riuscivo a capirne bene l’importanza…»
Oltre a questo importante riconoscimento negli anni ha avuto anche due forchette Gambero Rosso e ha ricevuto il Premio Cucina d’Autore dal Touring Club Italiano e quello come chef emergente d’Italia 2013. La disarmate genuinità di Marco Martini si riflette anche nei suoi piatti, che oggi può proporre nel ristorante romano Stazione di Posta di proprietà di Pino Cau, da quest’anno insignito di una stella Michelin.
«Sono molto curioso, amo viaggiare e sperimentare. Credo fermamente in ciò che faccio. Le mie proposte si basano sulla tradizione romana-laziale ma con un’impronta internazionale. Nonostante ci sia un’estrema ricerca, il continuo rimando ai “sapori di una volta” rende le mie portate evocative e, di conseguenza, facili da comprendere per tutti.
Cerco di usare materie prime biologiche e posso assicurare che mantenere l’alto standard che mi sono prefisso comporta grande fatica, in quanto il loro reperimento non è sempre facilissimo.
Non ho preferenze particolari, uso quello che ho a disposizione e che mi ispira sul momento. Di certo però non userò mai insetti o formiche, anche se c’è chi dice siano il futuro dell’alimentazione! Sfogliando il menù con occhio attento ci si accorge immediatamente che tutte le mie portate si basano al massimo su tre ingredienti.
Alla Stazione di Posta sono finalmente libero di esprimermi liberamente dal bar all’aperitivo, passando ovviamente per il menu à la carte». La continua sperimentazione di Martini è testimoniata dal veloce cambiamento di proposte nella carta del ristorante; nel 2014 sono stati 56 i nuovi piatti, ai quali Marco è ugualmente affezionato.
Chiedergli quale sia il suo preferito sarebbe come domandare a un pittore qual è il suo quadro più bello. «Ci sono però due preparazioni che definirei le mie portate del cuore. La prima è il Raviolo al vapore pollo e brodo di patate arrosto, un vero e proprio incontro tra Oriente e Occidente, nella fattispecie casa di mia madre! Si tratta di un raviolo trasparente ripieno di pollo alla cacciatora, salsa di soia e brodo di patate perché un rimando alla tradizione ci sta sempre bene.
Il secondo piatto che amo di più è il Merluzzo Patanegra e arancia amara. Tutto è partito dal ricordo vivo del merluzzo al vapore intinto nella maionese fatta in casa... Cerco di utilizzare sempre l’immaginazione e di mescolarla quanto basta a immagini tratte dalla vita reale».
Anche se Marco Martini ora sta facendo proprio ciò che ha desiderato fare fin da bambino – il cuoco – non ha mai scordato quanta è stata la fatica per arrivare in alto e quale è stata la strada che ha dovuto percorrere. «Il cuoco fa una vita stressante, non è un lavoro che si può fare senza una grande passione o senza capacità. Sono molto scettico verso tutti i ragazzi che frequentano corsi da migliaia di euro credendo così di diventare professionisti provetti.
Ciò che conta è l’esperienza sul campo, bisogna lavorare duro. Io lavoro quattordici ore al giorno da quindici anni, dicono che abbia molto successo ma passando tanto tempo a testa china per me è complicato capire la percezione reale che c’è di me fuori dal mio ristorante.
Dal mio canto so per certo che continuerò ad impegnarmi con la stessa volontà ed emozione che ho provato la prima volta che ho indossato la divisa da chef. Cosa ritengo sia importante? Rimanere con i piedi per terra ma avere la testa tra le nuvole, non mollare mai, darsi degli obiettivi e raggiungerli. Anche se essere felici è il traguardo più importante…».
È stata la curiosità a farlo passare dalla sella del motorino alla pala del forno a legna e proprio in questa occasione Marco ha scoperto la sua innata e profonda passione per il mondo della cucina. Abbandonati pasta e condimenti ha prestato servizio in diversi ristoranti, passando perfino da Londra all’Apsleys di Heinz Beck e nel quartiere di South Kensington nella brigata di Tom Aikens.
«Tutte le esperienze sono in egual modo significative – racconta Martini – perché in qualsiasi cucina si possono apprendere modi di pensare e differenti approcci al lavoro. Credo si impari qualcosa anche dalle nonne ai fornelli!
L’avventura lavorativa che mi ha maggiormente formato è stata sicuramente quella durata ben sette anni al fianco di Antonello Colonna nel ristorante Open Colonna. È durante questa esperienza che, a soli 24 anni, ho conquistato la prima stella Michelin. All’epoca neanche riuscivo a capirne bene l’importanza…»
Oltre a questo importante riconoscimento negli anni ha avuto anche due forchette Gambero Rosso e ha ricevuto il Premio Cucina d’Autore dal Touring Club Italiano e quello come chef emergente d’Italia 2013. La disarmate genuinità di Marco Martini si riflette anche nei suoi piatti, che oggi può proporre nel ristorante romano Stazione di Posta di proprietà di Pino Cau, da quest’anno insignito di una stella Michelin.
«Sono molto curioso, amo viaggiare e sperimentare. Credo fermamente in ciò che faccio. Le mie proposte si basano sulla tradizione romana-laziale ma con un’impronta internazionale. Nonostante ci sia un’estrema ricerca, il continuo rimando ai “sapori di una volta” rende le mie portate evocative e, di conseguenza, facili da comprendere per tutti.
Cerco di usare materie prime biologiche e posso assicurare che mantenere l’alto standard che mi sono prefisso comporta grande fatica, in quanto il loro reperimento non è sempre facilissimo.
Non ho preferenze particolari, uso quello che ho a disposizione e che mi ispira sul momento. Di certo però non userò mai insetti o formiche, anche se c’è chi dice siano il futuro dell’alimentazione! Sfogliando il menù con occhio attento ci si accorge immediatamente che tutte le mie portate si basano al massimo su tre ingredienti.
Alla Stazione di Posta sono finalmente libero di esprimermi liberamente dal bar all’aperitivo, passando ovviamente per il menu à la carte». La continua sperimentazione di Martini è testimoniata dal veloce cambiamento di proposte nella carta del ristorante; nel 2014 sono stati 56 i nuovi piatti, ai quali Marco è ugualmente affezionato.
Chiedergli quale sia il suo preferito sarebbe come domandare a un pittore qual è il suo quadro più bello. «Ci sono però due preparazioni che definirei le mie portate del cuore. La prima è il Raviolo al vapore pollo e brodo di patate arrosto, un vero e proprio incontro tra Oriente e Occidente, nella fattispecie casa di mia madre! Si tratta di un raviolo trasparente ripieno di pollo alla cacciatora, salsa di soia e brodo di patate perché un rimando alla tradizione ci sta sempre bene.
Il secondo piatto che amo di più è il Merluzzo Patanegra e arancia amara. Tutto è partito dal ricordo vivo del merluzzo al vapore intinto nella maionese fatta in casa... Cerco di utilizzare sempre l’immaginazione e di mescolarla quanto basta a immagini tratte dalla vita reale».
Anche se Marco Martini ora sta facendo proprio ciò che ha desiderato fare fin da bambino – il cuoco – non ha mai scordato quanta è stata la fatica per arrivare in alto e quale è stata la strada che ha dovuto percorrere. «Il cuoco fa una vita stressante, non è un lavoro che si può fare senza una grande passione o senza capacità. Sono molto scettico verso tutti i ragazzi che frequentano corsi da migliaia di euro credendo così di diventare professionisti provetti.
Ciò che conta è l’esperienza sul campo, bisogna lavorare duro. Io lavoro quattordici ore al giorno da quindici anni, dicono che abbia molto successo ma passando tanto tempo a testa china per me è complicato capire la percezione reale che c’è di me fuori dal mio ristorante.
Dal mio canto so per certo che continuerò ad impegnarmi con la stessa volontà ed emozione che ho provato la prima volta che ho indossato la divisa da chef. Cosa ritengo sia importante? Rimanere con i piedi per terra ma avere la testa tra le nuvole, non mollare mai, darsi degli obiettivi e raggiungerli. Anche se essere felici è il traguardo più importante…».