Il Trussardi alla Scala di Milano, la moda a stelle Michelin
Il ristorante “Trussardi alla Scala” è posizionato in un incrocio strategico, tra il Triangolo della Moda, importanti luoghi di turismo meneghino (come il Duomo, La Scala, Brera, il Castello Sforzesco) e le maggior parte delle sedi finanziarie, bancarie e amministrative della città.
«Devo avere un menu in movimento continuo, avendo clienti che vengono con frequenza. Il lunch business deve cambiare ogni stagione, ogni mese, tutti i giorni. Senza sosta devo proporre menu veloci e gourmet, composti da quattro mini piatti per manager e lavoratori incalliti. Per noi il cliente business è essenziale, è la nostra manna fin dal primo giorno d’apertura». Anche i prezzi sono standardizzati e mai cambiati dal giugno 2006.
Nel 2008, ad appena un anno e mezzo dall’apertura ufficiale, arriva la prima stella Michelin, nel 2009 giunge eccezionalmente la seconda. «Trussardi è il primo marchio di moda italiano ad aver puntato su un ristorante gourmet di qualità. La mia concentrazione a riguardo è estrema, per cui al centro di tutto questo lavoro c’è il cliente. Al mio ristorante approdano commensali da ogni parte del mondo, esperti gastronomi dal Giappone, manager americani, giornalisti francesi e poi tutti coloro che amano sperimentare un tipo di cucina molto particolare.
E perciò devo controllare ogni meandro di questo ristorante, devo trasmettere a qualunque componente dello staff l’importanza della responsabilità nel singolo ruolo che ciascuno ricopre. Il lavapiatti deve eseguire alla perfezione il suo compito, il commis di sala ha l’obbligo di imparare “vita morte e miracoli” del piatto che sta servendo. Nessuno può inceppare il meccanismo di questa vera e propria macchina da guerra!».
Per Andrea Berton bisogna essere sempre disciplinati, attenti e concentrati, è necessario che tutti siano alla mercè dell’impegno. E si vede: il mâitre Alberto Tasinato e il suo secondo Luca Cinacchi e il sommelier Lorenzo Rondinelli scalpitano per entusiasmo e bravura; il sous chef Fabio Gambirasi è un’ombra silenziosa, devota e propositiva per sua natura; tutta la brigata riga dritta per una strada coerente e perpetuamente in meditazione.
Anche gli oggetti di alto design del ristorante sembrano aver capito l’antifona, luccicando di bellezza e utilità a ogni schiocco di dita. «Ho imparato la disciplina in Francia ma è come se avessi sempre saputo sopportare tale severità. Io mi sento a mio agio con l’organizzazione del lavoro, ma nella vita non sono così: se un amico mi dice “andiamo a mangiare fuori?”, io trovo sempre la calma e la disinvoltura di staccare la spina.
Oltretutto a me piace uscire e divertirmi con le cucine dei miei amici colleghi come Carlo Cracco, Massimo Bottura, Antonino Cannavacciuolo, Gennaro Esposito e Ilario Vinciguerra. Vado da loro per assaporare concetti nuovi dell’alta gastronomia, per sperimentare le intuizioni di questi grandi amici chef. Sono tutti bravi, ma la loro grandezza sta nell’aver creato una cucina personale, unica. In generale mi piace percepire la sensazione di essere un cliente, coccolato e gaudente davanti a piatti gourmet!».
«Devo avere un menu in movimento continuo, avendo clienti che vengono con frequenza. Il lunch business deve cambiare ogni stagione, ogni mese, tutti i giorni. Senza sosta devo proporre menu veloci e gourmet, composti da quattro mini piatti per manager e lavoratori incalliti. Per noi il cliente business è essenziale, è la nostra manna fin dal primo giorno d’apertura». Anche i prezzi sono standardizzati e mai cambiati dal giugno 2006.
Nel 2008, ad appena un anno e mezzo dall’apertura ufficiale, arriva la prima stella Michelin, nel 2009 giunge eccezionalmente la seconda. «Trussardi è il primo marchio di moda italiano ad aver puntato su un ristorante gourmet di qualità. La mia concentrazione a riguardo è estrema, per cui al centro di tutto questo lavoro c’è il cliente. Al mio ristorante approdano commensali da ogni parte del mondo, esperti gastronomi dal Giappone, manager americani, giornalisti francesi e poi tutti coloro che amano sperimentare un tipo di cucina molto particolare.
E perciò devo controllare ogni meandro di questo ristorante, devo trasmettere a qualunque componente dello staff l’importanza della responsabilità nel singolo ruolo che ciascuno ricopre. Il lavapiatti deve eseguire alla perfezione il suo compito, il commis di sala ha l’obbligo di imparare “vita morte e miracoli” del piatto che sta servendo. Nessuno può inceppare il meccanismo di questa vera e propria macchina da guerra!».
Per Andrea Berton bisogna essere sempre disciplinati, attenti e concentrati, è necessario che tutti siano alla mercè dell’impegno. E si vede: il mâitre Alberto Tasinato e il suo secondo Luca Cinacchi e il sommelier Lorenzo Rondinelli scalpitano per entusiasmo e bravura; il sous chef Fabio Gambirasi è un’ombra silenziosa, devota e propositiva per sua natura; tutta la brigata riga dritta per una strada coerente e perpetuamente in meditazione.
Anche gli oggetti di alto design del ristorante sembrano aver capito l’antifona, luccicando di bellezza e utilità a ogni schiocco di dita. «Ho imparato la disciplina in Francia ma è come se avessi sempre saputo sopportare tale severità. Io mi sento a mio agio con l’organizzazione del lavoro, ma nella vita non sono così: se un amico mi dice “andiamo a mangiare fuori?”, io trovo sempre la calma e la disinvoltura di staccare la spina.
Oltretutto a me piace uscire e divertirmi con le cucine dei miei amici colleghi come Carlo Cracco, Massimo Bottura, Antonino Cannavacciuolo, Gennaro Esposito e Ilario Vinciguerra. Vado da loro per assaporare concetti nuovi dell’alta gastronomia, per sperimentare le intuizioni di questi grandi amici chef. Sono tutti bravi, ma la loro grandezza sta nell’aver creato una cucina personale, unica. In generale mi piace percepire la sensazione di essere un cliente, coccolato e gaudente davanti a piatti gourmet!».