Il nuovo D'O di Davide Oldani si reinventa a Cornaredo
Dopo 13 anni di attività, il celebre D'O cambia location, stile gastronomico e design. Lo chef Davide Oldani ha inaugurato infatti il suo nuovo D'O nel giugno 2016, a pochi passi dal vecchio locale di Cornaredo che lo ha reso celebre in tutto il mondo.Il nuovo ristorante per Oldani significa molte cose, già guardandolo da fuori.
La piazza della chiesa vecchia di San Pietro, prima di tutto, il suo passato, la tradizione e anche una bella pagina di storia. San Pietro era una chiesa sulla strada che collegava Milano a Torino.
Sulla facciata sono murate delle patere, scodelle in maiolica o ceramica invetriata, che avevano una duplice funzione, decorativa e segnaletica, perché indicavano che lì, il pellegrino, poteva trovare ospitalità e consumare un pasto caldo. Il suo nuovo ristorante si trova proprio di fronte.
Gli piace pensare che, a pochi metri dalla chiesa, darà “nutrimento” e accoglienza ai suoi ospiti. E non è tutto. Nella piazza c’è il “seme” del suo paese, che è l’olmo e che è circondato da erbe: mangiare dove cresce l’olmo, una cucina circolare a tutti gli effetti, con le radici e la voglia di “crescere”.
L’accoglienza resta un connotato irrinunciabile della ristorazione all’italiana alla quale Oldani ha sempre cercato di ispirarsi. Nel nuovo ristorante ha voluto svilupparla ulteriormente. Per questo ha realizzato una casa, quella della Milano alla quale è più legato, con la suddivisione su due livelli in zone dalle caratteristiche inconfondibili: la cucina, il tinello, il soggiorno, il salotto, la galleria, la veranda, la cantina e lo studio.
Parte integrante del progetto di architettura, curato da Piero Lissoni, è la vetrata incorniciata da un profilo di metallo traforato e coperta da una pensilina che si affaccia sulla piazza, con una superficie vetrata grande abbastanza da far sì che la piazza possa “entrare in casa” e che la casa possa “entrare nella piazza”.
“Desidero che la porta del ristorante sia aperta, in tutti i sensi, che una parte della preparazione del menu avvenga davanti agli ospiti - commenta Davide Oldani. - L’obiettivo è coinvolgerli a trecentosessanta gradi, in un ambiente esteticamente bello ma anche accogliente. L’idea di bellezza del mio amico Piero si è perfettamente combinata alla mia idea di praticità, realizzando il mio desiderio di un’estetica che non rinunciasse alla comodità.
Ho voluto ingrandirmi in senso fisico, di metrature intendo, anche se non era questo lo scopo principale. L’ho fatto con l’obiettivo di realizzare una cucina più “grande”, capace di evolvere, di confrontarsi con altre cucine nel nostro Paese e anche fuori; e nello stesso tempo per razionalizzare gli spazi e rendere tutto più funzionale oltre che, naturalmente, confortevole, esteticamente gradevole.
Diciamo che ho effettuato un piccolo spostamento fisico, sono andato a pochi metri dal primo D’O, per realizzare una grande evoluzione nella semplificazione, nell’organizzazione e nella funzionalità. Ma non ho cambiato il numero di coperti della sala.”.
Tutto è stato pensato per offrire un’esperienza che abbatta le barriere tra cucina e sala da pranzo, tra Oldani e i suoi ospiti. Un menù innovativo e ancor più sperimentale ed audace, che osa non solo negli accostamenti culinari ma anche nella composizione delle portate, non rinnegando mai la tradizione. Ed è proprio seguendo questa filosofia che lo chef Oldani ha creato piatti come "La Battuta" o "La Dama".
Anche nell’arredare del nuovo ristorante, lo chef ha potuto affermare con maggiore forza queste maturate convinzioni. A cominciare dai tavoli e dalle sedie, che ha disegnato lui stesso, realizzando concretamente alcune idee che inseguiva da tempo.
E cioè la creazione di elementi di arredamento che, pur nell’eleganza, fossero essenziali, lineari e funzionali. La comodità, a suo parere, si traduce in tranquillità e rilassatezza, ma anche nel favorire, attraverso una forma ergonomica degli arredi nata dall’osservazione quotidiana degli ospiti, una digestione corretta, che comincia quando ci si siede a tavola e non quando ci si alza.
Il piano interrato è invece riservato alla ricerca e sviluppo, con un insieme di aree diverse e comunicanti in uno spazio fluido. Qui si trova una cucina a isola attrezzata per creare e sperimentare nuovi piatti e nuove idee, una parte destinata allo sviluppo del brand D’O e dei sui prodotti, una cantina a temperatura controllata aperta alle degustazioni.
La piazza della chiesa vecchia di San Pietro, prima di tutto, il suo passato, la tradizione e anche una bella pagina di storia. San Pietro era una chiesa sulla strada che collegava Milano a Torino.
Sulla facciata sono murate delle patere, scodelle in maiolica o ceramica invetriata, che avevano una duplice funzione, decorativa e segnaletica, perché indicavano che lì, il pellegrino, poteva trovare ospitalità e consumare un pasto caldo. Il suo nuovo ristorante si trova proprio di fronte.
Gli piace pensare che, a pochi metri dalla chiesa, darà “nutrimento” e accoglienza ai suoi ospiti. E non è tutto. Nella piazza c’è il “seme” del suo paese, che è l’olmo e che è circondato da erbe: mangiare dove cresce l’olmo, una cucina circolare a tutti gli effetti, con le radici e la voglia di “crescere”.
L’accoglienza resta un connotato irrinunciabile della ristorazione all’italiana alla quale Oldani ha sempre cercato di ispirarsi. Nel nuovo ristorante ha voluto svilupparla ulteriormente. Per questo ha realizzato una casa, quella della Milano alla quale è più legato, con la suddivisione su due livelli in zone dalle caratteristiche inconfondibili: la cucina, il tinello, il soggiorno, il salotto, la galleria, la veranda, la cantina e lo studio.
Parte integrante del progetto di architettura, curato da Piero Lissoni, è la vetrata incorniciata da un profilo di metallo traforato e coperta da una pensilina che si affaccia sulla piazza, con una superficie vetrata grande abbastanza da far sì che la piazza possa “entrare in casa” e che la casa possa “entrare nella piazza”.
“Desidero che la porta del ristorante sia aperta, in tutti i sensi, che una parte della preparazione del menu avvenga davanti agli ospiti - commenta Davide Oldani. - L’obiettivo è coinvolgerli a trecentosessanta gradi, in un ambiente esteticamente bello ma anche accogliente. L’idea di bellezza del mio amico Piero si è perfettamente combinata alla mia idea di praticità, realizzando il mio desiderio di un’estetica che non rinunciasse alla comodità.
Ho voluto ingrandirmi in senso fisico, di metrature intendo, anche se non era questo lo scopo principale. L’ho fatto con l’obiettivo di realizzare una cucina più “grande”, capace di evolvere, di confrontarsi con altre cucine nel nostro Paese e anche fuori; e nello stesso tempo per razionalizzare gli spazi e rendere tutto più funzionale oltre che, naturalmente, confortevole, esteticamente gradevole.
Diciamo che ho effettuato un piccolo spostamento fisico, sono andato a pochi metri dal primo D’O, per realizzare una grande evoluzione nella semplificazione, nell’organizzazione e nella funzionalità. Ma non ho cambiato il numero di coperti della sala.”.
Tutto è stato pensato per offrire un’esperienza che abbatta le barriere tra cucina e sala da pranzo, tra Oldani e i suoi ospiti. Un menù innovativo e ancor più sperimentale ed audace, che osa non solo negli accostamenti culinari ma anche nella composizione delle portate, non rinnegando mai la tradizione. Ed è proprio seguendo questa filosofia che lo chef Oldani ha creato piatti come "La Battuta" o "La Dama".
Anche nell’arredare del nuovo ristorante, lo chef ha potuto affermare con maggiore forza queste maturate convinzioni. A cominciare dai tavoli e dalle sedie, che ha disegnato lui stesso, realizzando concretamente alcune idee che inseguiva da tempo.
E cioè la creazione di elementi di arredamento che, pur nell’eleganza, fossero essenziali, lineari e funzionali. La comodità, a suo parere, si traduce in tranquillità e rilassatezza, ma anche nel favorire, attraverso una forma ergonomica degli arredi nata dall’osservazione quotidiana degli ospiti, una digestione corretta, che comincia quando ci si siede a tavola e non quando ci si alza.
Il piano interrato è invece riservato alla ricerca e sviluppo, con un insieme di aree diverse e comunicanti in uno spazio fluido. Qui si trova una cucina a isola attrezzata per creare e sperimentare nuovi piatti e nuove idee, una parte destinata allo sviluppo del brand D’O e dei sui prodotti, una cantina a temperatura controllata aperta alle degustazioni.