Emanuele Scarello e il suo ristorante di famiglia a Udine
Udine, a metà strada tra il mare dell’estate e la montagna del freddo inverno. In questa capitale di un nuovo Friuli baldanzoso, la famiglia Scarello coltiva da più di cento anni la passione per la cucina e l’accoglienza, all’interno della “trattoria” “Agli Amici”, nella minuscola frazione di Godia (UD).
A capo dei fornelli, ora, c’è il discendente Emanuele Scarello, e i giochi si fanno meravigliosi: una cucina sorprendente del territorio, una ricerca spirituale nell’anima degli ingredienti e soprattutto tanta creatività furlana.
Emanuele Scarello ha da poco superato la soglia dei quarant’anni, ma la sua gioia sbarazzina è sempre dietro l’angolo. È un uomo che ha girato il mondo, che ha visto e annusato differenti realtà culinarie, ma nella sua credenza dei ricordi c’è sempre stata la cucina della tradizione friulana.
«Ho fatto l’alberghiero ad Arta Terme e poi subito all’Hotel Boschetti, dove ho capito cosa signifi cassero due stelle Michelin: lo chef Vinicio Dovier infatti mi presentava davanti agli occhi il mitico tartufo bianco oppure i grandi pesci dell’Adriatico, e io impazzivo per tanta eccellenza.
Per non parlare poi del servizio in sala! Ecco, forse lì, e quindi fin da subito, ho capito che il mio mondo sarebbe stato quello, volevo una ristorazione così». Il suo corpo ha poi viaggiato per l’Austria, la Francia, la Spagna e New York, ma la vera maestra di cucina rimane e permane la madre Ivonne.
E poi nel 1998 per assumere l’incarico di responsabile di cucina, ossia lo chef uffi ciale della casata Scarello. «Dopo aver sperimentato tutto in cucina, come schiume e schiumette, spume, cucchiai, bicchierini, arie e gelatine, mi sono dedicato al mio territorio che è ricco di mare e montagna, colline e fi umi. Non rinnego il passato, anzi mi ha fatto afferrare nuovi concetti che avrei potuto applicare alla cucina del cuore, quella friulana».
Dopo i 35 anni Emanuele Scarello ha sentito il bisogno di sintetizzare la sua cucina, non vuole egocentricamente far vedere quello che sa ma è ben conscio della centralità dell’ospite e delle materie prime che utilizza: «Io sono un attore a metà tra i clienti e chi lavora la terra. Io non credo nelle chef star che si autocelebrano inutilmente: bisogna avere pubblico e ospiti, grandi materie prime, questi sono i veri protagonisti del mio mondo!».
Ecco quindi spuntare come un bel germoglio la ricerca costante dell’anima del piatto, la voglia di estrarre il nocciolo del discorso culinario, la bramosia di sfruttare agli sgoccioli la coscienza divina dell’ingrediente. La cucina è fatta non solo di mano ma di testa: l’essenza e la pulizia devono sempre essere la meta finale. Per lui è d’uopo prendere spunto dai piatti passati per migliorare la propria sensibilità del mestiere di cuoco.
«Cosa voglio veramente? Tenere i piedi nella terra, capire quali siano i prodotti migliori che la terra può offrire in quel momento esatto della stagione! Per esempio in inverno la terra friulana è gelata e pochi frutti crescono: ci sono le verze, è vero, ma non solo, abbiamo recuperato delle varietà di rape incredibili…» È giunto il momento di estrarre l’acqua dal vaso, è il momento di distillare.
A capo dei fornelli, ora, c’è il discendente Emanuele Scarello, e i giochi si fanno meravigliosi: una cucina sorprendente del territorio, una ricerca spirituale nell’anima degli ingredienti e soprattutto tanta creatività furlana.
Emanuele Scarello ha da poco superato la soglia dei quarant’anni, ma la sua gioia sbarazzina è sempre dietro l’angolo. È un uomo che ha girato il mondo, che ha visto e annusato differenti realtà culinarie, ma nella sua credenza dei ricordi c’è sempre stata la cucina della tradizione friulana.
«Ho fatto l’alberghiero ad Arta Terme e poi subito all’Hotel Boschetti, dove ho capito cosa signifi cassero due stelle Michelin: lo chef Vinicio Dovier infatti mi presentava davanti agli occhi il mitico tartufo bianco oppure i grandi pesci dell’Adriatico, e io impazzivo per tanta eccellenza.
Per non parlare poi del servizio in sala! Ecco, forse lì, e quindi fin da subito, ho capito che il mio mondo sarebbe stato quello, volevo una ristorazione così». Il suo corpo ha poi viaggiato per l’Austria, la Francia, la Spagna e New York, ma la vera maestra di cucina rimane e permane la madre Ivonne.
E poi nel 1998 per assumere l’incarico di responsabile di cucina, ossia lo chef uffi ciale della casata Scarello. «Dopo aver sperimentato tutto in cucina, come schiume e schiumette, spume, cucchiai, bicchierini, arie e gelatine, mi sono dedicato al mio territorio che è ricco di mare e montagna, colline e fi umi. Non rinnego il passato, anzi mi ha fatto afferrare nuovi concetti che avrei potuto applicare alla cucina del cuore, quella friulana».
Dopo i 35 anni Emanuele Scarello ha sentito il bisogno di sintetizzare la sua cucina, non vuole egocentricamente far vedere quello che sa ma è ben conscio della centralità dell’ospite e delle materie prime che utilizza: «Io sono un attore a metà tra i clienti e chi lavora la terra. Io non credo nelle chef star che si autocelebrano inutilmente: bisogna avere pubblico e ospiti, grandi materie prime, questi sono i veri protagonisti del mio mondo!».
Ecco quindi spuntare come un bel germoglio la ricerca costante dell’anima del piatto, la voglia di estrarre il nocciolo del discorso culinario, la bramosia di sfruttare agli sgoccioli la coscienza divina dell’ingrediente. La cucina è fatta non solo di mano ma di testa: l’essenza e la pulizia devono sempre essere la meta finale. Per lui è d’uopo prendere spunto dai piatti passati per migliorare la propria sensibilità del mestiere di cuoco.
«Cosa voglio veramente? Tenere i piedi nella terra, capire quali siano i prodotti migliori che la terra può offrire in quel momento esatto della stagione! Per esempio in inverno la terra friulana è gelata e pochi frutti crescono: ci sono le verze, è vero, ma non solo, abbiamo recuperato delle varietà di rape incredibili…» È giunto il momento di estrarre l’acqua dal vaso, è il momento di distillare.