Alfio Ghezzi e l'amore per la natura

Al primo sguardo sembra un cuoco tutto d’un pezzo, con gli occhi penetranti che scrutano in modo vigile chi gli sta davanti. Physique du rôle, disciplina della brigata e amore per il Trentino sono apparentemente le sue sole armi di seduzione, ma è qui che ci si sbaglia alla grande. Alfi o Ghezzi è invece una sorgente di sorprese, un romanzo da sfogliare con salivazione: ad oggi non è soltanto uno degli chef più interessanti del panorama Michelin in Italia e nel mondo – o “solo” un professionista che nel giro di otto anni ha cambiato in toto la cucina tridentina della Locanda Margon della famiglia Lunelli, e quella di montagna nel senso tout court – ma è anche uno sportivo che percorre 900 chilometri a piedi e in parapendio da Trento all’Alpe d’Huez, in Francia. 

È un Icaro cuciniere che mette alla prova il suo corpo continuamente, il suo spirito e i propri limiti umani, praticando l’endurance almeno un’ora al giorno in mezzo al bosco montano. Correre, cucinare e resistere nella natura sono metafore della vita stessa, e lui profondamente lo sa. Alfi o Ghezzi è quindi un amante indemoniato della natura, di quei silenzi che narrano storie di gusto naturale in mezzo al nulla; ama talmente la natura che sta pensando di basare la sua cucina del futuro proprio sul rispetto assoluto del territorio, degli animali, della fauna intorno a lui. Perché la sua brama è quella di usare poche risorse ora per poterne sfruttare di più in futuro. E le sue due fi glie lo ringraziano per il loro avvenire. Ma arrivare a questo punto vitale della sua esistenza non è stato semplice: nel corso degli anni ha avuto delle crisi davvero mozzafi ato, che l’hanno portato per esempio a mollare la professione, a cambiare totalmente i suoi interessi e a rimettersi in gioco ogni volta, come un sadu indiano dopo innumerevoli illuminazioni. La storia di Alfi o Ghezzi della Locanda Margon a Trento, il nuovo  ambasciatore di ItaliaSquisita.

TUTTO INIZIÒ DI DOMENICA

Nato nel 1970 a Breguzzo, proprio in Trentino, nel minuscolo paese di neanche 600 abitanti in Val Giudicarie, è cresciuto gastronomicamente con un pensiero fisso: la domenica passata dalla nonna. “L’ultimo giorno della settimana si andava dalla nonna Tullia per mangiare la pasta al formaggio, burro schiumante e salvia; quando c’erano le feste o speciali ricorrenze si sentiva in dovere di aggiungere anche del tonno a questa semplice ma meravigliosa pasta. Per noi trentini il tonno era l’ingrediente esotico, era l’ingrediente che dava l’effetto wow. Ecco sì, quando mi si fa la banale e scontata domanda “qual è il tuo piatto della memoria?’” io rispondo con il cuore in mano: le mitiche farfalle con burro, formaggio e tonno della nonna Tullia!” È stata una pietanza talmente importante della sua infanzia che dopo anni ne ha creata una versione speciale nel ristorante gourmet, ma rivedendo la bilancia dell’amaro con la polvere di caffè e dell’acidità con il limone.

“Sempre in quelle domeniche del ricordo, quando si tornava dalla messa, la nonna ci preparava un caramello speciale con le noci, zucchero e burro stesi sul tavolo e poi raffreddati. Il nostro godimento vero era però quello di conquistare un bicchierino della bevanda che si otteneva dopo aver creato il caramello: un liquido d’acqua e zucchero, dorato scuro, che veniva ulteriormente impreziosito da un mazzo di salvia mentre di raffreddava. In dialetto trentino si chiama zucar
d’orz e io ho avuto in carta alcuni dessert molto simili.” 

Quello che intriga lo chef è questa sapienza inconscia delle nonne in cucina, ma come diavolo facevano a sapere tutto? “Le anziane delle valli arricchivano la polenta e salsiccia di una spruzzata d’aceto; l’acidità era già nelle corde della tradizione, l’acidità annaffi ata sui cibi grassi era una prassi quasi automatica. Adesso sappiamo che l’acidità apre le fauci della fame, titilla l’entusiasmo della voracità, fa in qualche modo digerire i piatti ipercalorici. 

Insomma, qui si parla di una cognizione popolare dell’alimentazione già istintiva e spontanea, come suggerita da qualche divinità del focolare, magari i Lari della religione romana che tanto avevano a cuore i componenti dei clan familiari e che vegliavano sul buon andamento della famiglia, della proprietà o delle attività in generale. La nonna Tullia come benzina iniziale per il motore cerebrale di Alfio.

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