Alessandro Dal Degan e la sua Tana Gourmet sull'Altopiano di Asiago
La favola bucolica di assaggiare un brodo di terra a un centinaio di metri sopra la piana di Asiago. Sui monti di Vicenza Alessandro Dal Degan vive infatti tra pentole e scarponcini da trekking, per creare piatti da poeta pastorale e per intraprendere gite montanare come un vero esploratore.
Trentatreenne nato a Torino, cresciuto a Firenze (in cui frequenta l’istituto alberghiero) e poi arrivato ad Asiago per plasmare il suo sogno ristorativo con La Tana Gourmet, non ha avuto veri maestri di cucina perché fin dai 20 anni si è sempre trovato a gestire i ristoranti in prima persona. La fortuna golosa gli ha infatti già riservato in famiglia mamma e nonne cuoche professioniste, esperte di cucina veneta molto tradizionale: la sua quindi è pura e genuina “filosofia culinaria genetica”.
«Come primo aneddoto posso accennarti la teoria di mio papà, quando cerca di descrivere il perché io abbia intrapreso la strada del cuoco, e chiaramente è una presa in giro nei miei confronti: da piccolo sono sempre stato un mangione e la mia stazza lo ha sempre dimostrato; spesso mi trovavo in casa da solo con lui - che non è in grado neanche di fare un uovo sodo – e da qui deriva l’opinione che la mia scelta di imparare a far da mangiare fosse nata per evitare il rischio di rimanere senza cibo.
Per il resto non ho in realtà grandi ricordi infantili o adolescenziali riguardo al cibo, se non le scene simpatiche di quando andavo in giro per prati e boschi e assaggiavo qualsiasi cosa, commestibile e non, e i nonni che mi gridavano dietro di tutto. Scene di ordinaria follia!». Ecco, allora quello di cercare, assaggiare e raccontare “storie erbacee” è un vizio che il giovane Alessandro possiede fin dall’infanzia, fin dai tempi in cui il raziocinio è chiaramente ben disgiunto dall’istinto.
Se ora nella sua cucina si trovano il pino, il lichene, il fieno non è un caso apocalittico o modaiolo; se ora nel suo menu si posso degustare Lumache stufate nel fieno, crema di erbe selvatiche (kumo dei prati, acetosella, farinello buon enrico, tarassaco), pigne di pino mugo fermentate e pane al muschio non è circostanza fortuita, neppure il Cuore di vitello crudo con rape, lardo, crauti e rose è così alieno dal mondo silvestre della montagna intorno ad Asiago. Il piatto Crudo di pesce San Pietro in brodo di terra è innovazione con gusti neolitici, in cui la freschezza limpida del mare si fonde all’infusione di erbe terrose di sottobosco e muschio dell’inconsueto consommé. «In base a quello che vogliamo raccogliere per la nostra cucina, bisogna scegliere il momento giusto della natura.
La primavera è ovviamente l’intervallo dell’anno più avvincente, ma anche nelle stesse giornate di primavera esistono momenti più o meno favorevoli nella raccolta delle erbe spontanee, per non parlare dei differenti habitat montanari. Il lichene islandico (o cetraria) viene per esempio raccolto dai 1800 metri in su, quindi ho bisogno di una giornata intera – e ben tre ore di camminata - per sperare di trovare questa piantina nel suo splendore anagrafico e geografico.
Per raggiungere infatti la sua dimensione ideale ci vogliono ben otto lunghi anni! L’asparago di bosco e la camomilla selvatica nascono invece solo in posti umidi, ed è quindi preferibile andare in mezzo ai boschi nel pomeriggio. Ma è la rugiada la vera ninfa eterea da conquistare: per catturarla e traportarla al ristorante è necessario partire alla mattina alle 5, perché il primo sole la farebbe evaporare.
Una volta messa in barattoli ermetici la posso conservare in frigo e utilizzarla per realizzare la mia finta meringa di funghi, ottenuta dalla polvere di porcini bollita nella stessa rugiada, con tè nero che ne esalti i profumi, e infine montata con il kudzu, una fecola ottenuta da una radice selvatica che fa da addensante nella preparazione di salse, budini e zuppe in Oriente».
Alessandro Dal Degan è un cuoco forager vero e proprio, uno chef di un’umiltà a volte imbarazzante, schivo e per nulla mediatico, che gestisce a modino la sua brigata e contemporaneamente si lascia andare selvaggio a esplorazioni silvane, come un folletto dei boschi.
Insieme ai soci Enrico Maglio (maître) e Stefano Fracaro (amministrazione) è co-titolare del locale e con alti e bassi stagionali per la clientela si è messo in gioco per creare una cucina tutta sua, più unica che rara, che combina grandi tecniche di lavorazione delle splendide materie prime della zona a piccoli ingredienti spontanei, come mamma natura li ha concepiti in questo bellissimo pianeta.
Se un ristorante gastronomico deve infondere emozioni, La Tana Gourmet è il luogo ideale per sperimentare sapori vegetali inconsueti, che solo la dea della caccia Diana ha potuto assaggiare nel suo pellegrinare mitologico. Cucina creativa strabiliante e a impatto zero, in cima a un monte, grazie a un profilo bassissimo da autentico cuoco del futuro.
Trentatreenne nato a Torino, cresciuto a Firenze (in cui frequenta l’istituto alberghiero) e poi arrivato ad Asiago per plasmare il suo sogno ristorativo con La Tana Gourmet, non ha avuto veri maestri di cucina perché fin dai 20 anni si è sempre trovato a gestire i ristoranti in prima persona. La fortuna golosa gli ha infatti già riservato in famiglia mamma e nonne cuoche professioniste, esperte di cucina veneta molto tradizionale: la sua quindi è pura e genuina “filosofia culinaria genetica”.
«Come primo aneddoto posso accennarti la teoria di mio papà, quando cerca di descrivere il perché io abbia intrapreso la strada del cuoco, e chiaramente è una presa in giro nei miei confronti: da piccolo sono sempre stato un mangione e la mia stazza lo ha sempre dimostrato; spesso mi trovavo in casa da solo con lui - che non è in grado neanche di fare un uovo sodo – e da qui deriva l’opinione che la mia scelta di imparare a far da mangiare fosse nata per evitare il rischio di rimanere senza cibo.
Per il resto non ho in realtà grandi ricordi infantili o adolescenziali riguardo al cibo, se non le scene simpatiche di quando andavo in giro per prati e boschi e assaggiavo qualsiasi cosa, commestibile e non, e i nonni che mi gridavano dietro di tutto. Scene di ordinaria follia!». Ecco, allora quello di cercare, assaggiare e raccontare “storie erbacee” è un vizio che il giovane Alessandro possiede fin dall’infanzia, fin dai tempi in cui il raziocinio è chiaramente ben disgiunto dall’istinto.
Se ora nella sua cucina si trovano il pino, il lichene, il fieno non è un caso apocalittico o modaiolo; se ora nel suo menu si posso degustare Lumache stufate nel fieno, crema di erbe selvatiche (kumo dei prati, acetosella, farinello buon enrico, tarassaco), pigne di pino mugo fermentate e pane al muschio non è circostanza fortuita, neppure il Cuore di vitello crudo con rape, lardo, crauti e rose è così alieno dal mondo silvestre della montagna intorno ad Asiago. Il piatto Crudo di pesce San Pietro in brodo di terra è innovazione con gusti neolitici, in cui la freschezza limpida del mare si fonde all’infusione di erbe terrose di sottobosco e muschio dell’inconsueto consommé. «In base a quello che vogliamo raccogliere per la nostra cucina, bisogna scegliere il momento giusto della natura.
La primavera è ovviamente l’intervallo dell’anno più avvincente, ma anche nelle stesse giornate di primavera esistono momenti più o meno favorevoli nella raccolta delle erbe spontanee, per non parlare dei differenti habitat montanari. Il lichene islandico (o cetraria) viene per esempio raccolto dai 1800 metri in su, quindi ho bisogno di una giornata intera – e ben tre ore di camminata - per sperare di trovare questa piantina nel suo splendore anagrafico e geografico.
Per raggiungere infatti la sua dimensione ideale ci vogliono ben otto lunghi anni! L’asparago di bosco e la camomilla selvatica nascono invece solo in posti umidi, ed è quindi preferibile andare in mezzo ai boschi nel pomeriggio. Ma è la rugiada la vera ninfa eterea da conquistare: per catturarla e traportarla al ristorante è necessario partire alla mattina alle 5, perché il primo sole la farebbe evaporare.
Una volta messa in barattoli ermetici la posso conservare in frigo e utilizzarla per realizzare la mia finta meringa di funghi, ottenuta dalla polvere di porcini bollita nella stessa rugiada, con tè nero che ne esalti i profumi, e infine montata con il kudzu, una fecola ottenuta da una radice selvatica che fa da addensante nella preparazione di salse, budini e zuppe in Oriente».
Alessandro Dal Degan è un cuoco forager vero e proprio, uno chef di un’umiltà a volte imbarazzante, schivo e per nulla mediatico, che gestisce a modino la sua brigata e contemporaneamente si lascia andare selvaggio a esplorazioni silvane, come un folletto dei boschi.
Insieme ai soci Enrico Maglio (maître) e Stefano Fracaro (amministrazione) è co-titolare del locale e con alti e bassi stagionali per la clientela si è messo in gioco per creare una cucina tutta sua, più unica che rara, che combina grandi tecniche di lavorazione delle splendide materie prime della zona a piccoli ingredienti spontanei, come mamma natura li ha concepiti in questo bellissimo pianeta.
Se un ristorante gastronomico deve infondere emozioni, La Tana Gourmet è il luogo ideale per sperimentare sapori vegetali inconsueti, che solo la dea della caccia Diana ha potuto assaggiare nel suo pellegrinare mitologico. Cucina creativa strabiliante e a impatto zero, in cima a un monte, grazie a un profilo bassissimo da autentico cuoco del futuro.