WICKY’S FOR ABI D’ORU

La celebrazione della Sardegna in nome del rispetto della cultura giapponese.
Nino Savarese scrisse dei sardi definendoli “uomini scontrosi e inflessibili, che hanno bisogno di schiettezza, di giustizia e libertà” nell’evidenziare il proprio augurio che la loro meravigliosa terra “potesse illuminarsi della gentilezza del lavoro e che gli uomini potessero trionfare della natura senza uccidere la poesia”.
Non so se lo chef Wicky Priyan abbia mai letto Savarese, ma sono sicuro che la Sardegna gli ha generato le stesse percezioni quando ha deciso di creare il suo pop up nell’hotel Abi d’Oru a Golfo di Marinella. A pensarci bene il primo incontro con il cuoco suscita le medesime sensazioni di quando si conosce un sardo: l’alone di mistero è lo stesso, lo sguardo severo e rigido anche, ma è la successiva conoscenza approfondita, che in modo naturale si tramuta in speciale accoglienza, che permette il paragone di Wicky ai sardi. Il cuoco e la regione si sono già incrociati più volte nei piatti che ogni giorno vengono creati nel ristorante milanese, alcuni ingredienti sardi arricchiscono infatti il banco di “Wicky’s”, come l’aragosta di cui si pregia nei suoi canali social.

Il percorso che lo chef sta intraprendendo è quindi il medesimo: come più di dieci anni fa ha voluto comunicare la grande cucina giapponese nella parte continentale italiana, la scorsa estate ha voluto proseguire in Sardegna, ricordando agli abitanti del luogo la straordinarietà della loro materia prima sotto forma di cucina kaiseki e del livello edomae che ha potuto far gustare ai suoi
ospiti e raccontare in prima persona in sala.

Abbinare gli ingredienti del luogo alla sua cucina è l’aspetto che più attrae lo chef e che fa della contaminazione un pilastro importante della sua idea. Così durante il giorno ha visitato i produttori locali per scegliere il pecorino che più si sposasse con la “sua” ricciola giapponese, in uno dei piatti più celebrati da amatori e turisti: “Hamachi Pecora” è agli occhi dell’ingenuo una pazzia, al palato e
alla memoria del maestro un vissuto. La creazione, composta da ricciola, consommé di zenzero, olio di oliva leccino e una leggera spolverata di pecorino è un’esplosione di umami che provoca un flashback nella testa dello chef a quando, giovane apprendista criminologo, non si faceva problemi a mangiare per strada il pesce crudo con il formaggio. Un colpo di katana al pregiudizio tutto
italiano sugli ingredienti. Molto più delicato ma altrettanto sbalorditivo e riflessivo è il “Maki Sardinian d’Oru” con cui si presenta al ristorante “Marinella” dell’albergo: uno dei cinque mieli di Sardegna che ha selezionato, addolciscono quanto basta il gambero di Sardegna accompagnato da crema di yuzu e caviale di storione in cui brilla la foglia d’oro in ricordo di Gualtiero Marchesi.

Nonostante la luna piena, come nella sala del ristorante di Milano, si ha davanti il mare, nel panorama e nel piatto, la cui freschezza è tutta nel daikon e la crema di yuzu che accolgono ancora il gambero di Sardegna e il caviale, questa volta però assieme alla tartare di tonno nella creazione che in menù compare come “Oriental Sardinia”.

Il bilancio di Wicky’s for Abi d’Oru è più che positivo, ma lo chef, si sa, è un’incontentabile. Vorrà tornare sicuramente nell’isola migliorando il progetto. L’amore per il luogo e per il suo mestiere costruito minuziosamente negli anni e i suggerimenti dei clienti che lo hanno visitato anche nell’isola, lo spingeranno a portare anche il suo banco, elemento essenziale per il pieno apprendimento della sua cucina fatta di tecnica, materia prima e studio del piatto.

A cura di  Elio Ciconte
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