Umami: il gusto più umano di tutti

Ecco, è ufficiale: l’umami è davvero un gusto fondamentale, anzi il quinto che l’uomo può godersi a tavola insieme all’acido, al dolce, all’amaro e al salato. In realtà si può parlare anche di “grasso”, “kokumi”, “piccante”, ma non facciamo confusione e concentriamoci su quello che forse si può definire il gusto più umano di tutti.
[...] In fin dei conti l’umami è il gusto principale alla base del latte materno, quindi questo sapore antico e quasi ancestrale è intrinseco nel nostro palato sapiens.

Umami è un gusto fondamentale dunque, ma anche un esaltatore di sapidità, prodotto chimicamente dalla presenza del glutammato (derivato dall’amminoacido acido glutammico, ndr); anche altre sostanze naturali, come la guanosina e l’inosina, concorrono all’umami, e quando hanno effetto sinergico col glutammato non solo esaltano l‘intensità della percezione del sapore in bocca, ma danno pure una sensazione di soddisfazione gastronomica. Ci fa godere le papille insomma il quinto gusto, con questo aggettivo “rotondo” che imprime una gloriosa perfezione matematica alla degustazione.

Così racconta la Prof.ssa Gabriella Morini dell'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo: «Partendo dal presupposto che il gusto, insieme all’olfatto e alle sensazioni chemestetiche, è uno degli strumenti che noi usiamo per analizzare il contesto alimentare con cui veniamo in contatto, ora sappiamo che è una questione di recettori/sensori e di molecole. Noi non percepiamo i gusti singoli, li sentiamo nel loro insieme, il sapore nelle loro combinazioni. A parte lo zucchero e il sale non usiamo ingredienti puri nel gusto in cucina, ma alimenti che sono composti da più gusti contemporaneamente. Oggi sappiamo che esiste un sensore dedicato per i composti che danno gusto umami (recettore accoppiato a G-protein, ndr) e ha un significato evolutivo poiché serve a riconoscere le proteine, come il dolce per riconoscere i carboidrati, il salato per riconoscere lo ione sodio, ecc.
Quindi l’umami è un gusto fondamentale, il quinto, perché ha dei sensori dedicati a riconoscere alcuni amminoacidi che costituiscono le proteine».

Per ottenere questo gusto bisogna partire dunque dalle proteine, che siano da legumi, carni, alghe o pesci, e poi “romperle” idrolizzandole con le lunghe cotture (come nei ragù, i brodi o i fondi) oppure con le fermentazioni. «Da studi recenti si evince che anche alcuni composti che si producono nella reazione di Maillard sono in grado di attivare i recettori dell’umami. Quindi anche il soffritto italiano, cotto a lungo, può imprimere quel sapore al palato» aggiunge la Prof.ssa Morini.

Chi più chi meno, in tutte le culture umane c’è quindi l’umami, in ogni cucina terrestre si possono trovare ricette, ingredienti e combinazioni che possono dar vita a questa sensazione gustativa. L’umami regionale italiano si può trovare per esempio nelle melanzane alla parmigiana, nella bagnacauda, nel frico e ovviamente in tutti i formaggi a lunga stagionatura (Parmigiano Reggiano e Grana Padano più di tutti), nel prosciutto crudo o cotto, nelle acciughe e nella colatura di alici, nel cervello del gambero rosso ma anche in piatti iper celebri come la carbonara o le lasagne. La cucina italiana è estremamente umami, ed è per questo che piace tanto all’estero. Insieme a quella giapponese è forse quella più rappresentativa. Come il dolce e il grasso, l'umami è un gusto attrattivo, comfort e che aiuta a enfatizzare tutte le altre componenti organolettiche del piatto. L’umami è (puro piacere) umano. [...]

Estratto di "Umami umano" di Pina L. Cellorsi pubblicato su ItaliaSquisita 51 (scopri il primo numero del 2025).