Torino, una finestra aperta sul passato

Cinquecento anni da scoprire, un bollito da ricordare e un oste da ascoltare: il Ristorante Tre galline di Torino per farsi notare non cerca l’innovazione, ma la storia della tradizione.
Anche la moda può restare indietro. Soprattutto quando è la memoria a tenerle testa, passando per un labirinto di vicoli che di giorno dilata il tempo e di sera anima la mente: è l’anticamera della fantasia che i torinesi chiamano Quadrilatero, il quartiere bohémien che raccoglie leggende sopravvissute nei secoli e svela i cinquecento anni del Ristorante Tre Galline. Un’icona nata da una trovata geniale del XVII secolo, quando tre madamin piemontesi, prendendo spunto dall’omonima via adiacente al locale, battezzarono la loro attività proprio con l’illustrazione di tre galline: una manovra che diede scacco matto all’analfabetismo dell’epoca, trasformando l’osteria in un punto di ritrovo anche per chi non sapeva leggere.


Oggi, come allora, rimane il Tre Galline, lo stesso che negli anni 90’ finisce sotto l’ala dell’attuale proprietario Riccardo De Giuli che affida la direzione della sala a Leonardo De Boni, un sommelier, un oste o “solo” un affascinante cantastorie. È indiscutibilmente il caposaldo del Tre Galline, che con i suoi racconti a tavola confessa Ogni giorno cerco di mettere piede nella tradizione, ma anche di entrare nelle storie delle persone. D’altronde è Leo a chiudere l’esperienza torinese di chi vuol scoprire la città dopo essersi trattenuto nei salotti di Palazzo Reale, o di chi si è perso nell’antiquariato nostalgico del mercato Gran Balon. In ogni caso la tavola di questa chicca secolare vuole accogliere un pubblico affamato di tradizione, imboccandolo con la cucina di chef Luigi Rosato, origine pugliese dirottata a Londra, Lione e infine Milano: un itinerario gastronomico all’insegna della semplicità, che non inciampa mai nella banalità ma scandaglia le culture locali per conservarne la storia. 


E se a quanto pare nel 2020 la tendenza è ancora quella di rivisitare la tradizione, una specie secolare che rischia di volatilizzarsi a causa dell’innovazione, al Tre Galline ciò non accade. Qui è la storia a far da atmosfera: sarà per il vitello tonnato alla vecchia maniera, senza maionese, come vuole la ricetta ottocentesca del gastronomo Artusi? O forse per il bollito che presenzia a ogni servizio ed è un incanto anche per gli occhi. Scaramella, coda, muscolo, lingua, testina, cotechino e gallina, favolosi tagli di carne pronti a sfilare fuori da un carrello: un’esibizione inattesa dei sette interpreti della tradizione, corredata da un bouquet di bagnèt e dal “manda giù”, un consommé per condire il bollito senza parsimonia. Insomma, una passeggiata che lascia orme rinascimentali su tutto il palato, prima di addentrarsi in un’altra dispensa della conoscenza: il carrello dei formaggi, un panorama italo-gastronomico dove la geografia si fa densa e lascia la parola a Leo, che cattura storie dal passato per liberarle in tavola. Ma si va a nozze anche in cantina, dove le cerimonie si aprono con un Vermouth Coloniale in aperitivo e continuano con una selezione di vitigni piemontesi, Nebbiolo, Freisa e Timorasso, che però sa spingersi senza timore anche oltre il territorio limitrofo. Il Tre Galline infatti non teme avversari, si svincola dalle tendenze e protegge la memoria, che se pur astratta è la cosa più visibile che abbiamo.



A cura di Barbara Marzano
Foto di Stefania Bonatelli
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