
Quindici anni di esperienze, due maestri, conosciuti anche come Pier Bussetti e Alain Ducasse, e una sfilza di precedenti, tra cui Del Cambio (Torino), Trussardi alla Scala (Milano) e Turin Palace (sempre a Torino), portano Stefano a Opera, il ristorante dove per la prima volta si mette in gioco «da solo». Dopo un mese di rodaggio, abbandona il comfort food piemontese per allacciare le cinture e dare scacco matto alla clientela torinese, con una cucina che svuota e riapre la mente per presentare un diagramma essenziale. Nei due menu, Vegetariano e Opera, infatti la mise en plat è di pochi elementi, tutti circondati dall’onnipresenza della frutta e dai sentori acidi che fanno da regia a ogni portata: dallo storione marinato nel cavolo viola con julienne di cavolo, yogurt agli agrumi e caviale, al bottone ripieno di spalla di maiale cotto al BBQ servito su una crema di ostrica con julienne di mela e gin al melograno. Uno spettacolo che non concede un intervallo nemmeno al piccione BBQ, steso su una base al curry addolcita dalle tre consistenze del pompelmo.

E per non perdersi nella meraviglia del cibo, la parola va a Gualtiero Perlo, il maître che ricapitola i retroscena di ogni portata e racconta qualche particolare del backstage. Come quel cocktail nato 20 minuti prima di un servizio: uno shot a base tonica J. Gasco e sake Junmai Ginjo pensato per chiudere in freschezza un’aringa affumicata, nascosta sotto un caco vaniglia marinato nel sake e un caco mela al naturale.
Quanta attenzione riesce a dilatarsi in così pochi centimetri di ceramica, in ogni singolo piatto. La stessa attenzione che ogni mattina affianca Stefano, in una ricerca aperta ma selettiva tra i contadini del mercato e che trasforma i suoi infiniti passi in un menu scrupoloso: il dettaglio che fa l’Opera.
A cura di Barbara Marzano
Foto di Davide Dutto