Sbafarsi le fiabe

La consueta rubrica a cura del Professor Alberto Capatti per indagare su curiosità e opinioni del sottobosco culturale, letterario e gastronomico.
Il “Mangiafiabe”, antologia di Bianca Lazzaro, pubblicata l’anno scorso da Donzelli, rilancia, con racconti otto-novecenteschi opportunamente corretti, un appetito immaginario e surreale che continua a nutrire la nostra cultura. Certo più si arretra, più è il contadino affamato che lancia la sfida e il re, suo signore, che celebra il banchetto della rinascita della sua prole, e una sola fava può non ammalare di favismo tal Miserante, ma arricchirlo e farne un signore. Certo, potremmo mangiar fiabe anche al giorno d’oggi, dopo aver rivisto “Bianca” di Nanni Moretti in cui il vaso di Nutella prende proporzioni gigantesche, o ancora le apparizioni di capitan Findus e della sua nave che navigano sullo schermo e poi finiscono in una scatola, in un piatto e finalmente nella nostra pancia. Nessun rapporto con le fiabe di Bianca Lazzaro? Potremmo citare i menu fiabeschi che ogni anno mutano forma, colori e sapori al Clandestino di Moreno Cedroni sul promontorio marchigiano del Conero, o altri chef d’autore che giocano con altri cibi da favola, ma la cucina immaginaria ce la portiamo in testa, in bocca, fra le dita ogni giorno quando attendiamo con impazienza il panino o ricordiamo con nostalgia, in spiaggia, il cono gelato finito un’ora prima. In essa prepariamo,
in un attimo, oltre al panino e al cono, la carbonara perfetta o una faraona bollita. E ci piace andar oltre inventando ricette magiche, come quella di un piccione bruno, scuro, farcito che sembra sostare nel piatto, prima di volare verso le nostre labbra; o quella di un pesciolino che, con un impercettibile guizzo sotto i nostri occhi, ci riporta in mare. La fantasmagoria è guidata dalla letteratura, dal cinema, dalla pubblicità, che codificano la fiaba e il modo di mangiarla, giocando con la fantasia. Ma torniamo alla fava fatata che recita diversi ruoli: coltivata per fruttificare o intascata come un talismano, era una pianta diffusa in tutta l’Italia meridionale e i suoi semi erano il principio nutritivo indispensabile, benedetto al punto di apparire e dal rivelarsi magico.
Ritroviamo l’epicentro intorno al quale ruota la nostra favolosa cultura, anche se le fave non recitano oggi nella pubblicità.

"Sbafarsi le fiabe" di Aberto Capatti su ItaliaSquisita n°45
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