Il terzo giro fuori Italia è al Mulino A Vino, ristorante newyorkese dove ha deciso di fermarsi. «Sono tutti metodi di lavoro differenti» spiega lei, «mi sono davvero resa conto di quanto l’adagio “Paese che vai, cultura che trovi” sia vero.
Le abitudini di stare a tavola sono così differenti che ogni paese necessità di un servizio completamente diverso. A New York si approccia in maniera completamente diversa lo stare a tavola. C’è la cultura dello sharing, si dividono due o tre portate nello stesso momento. Riguardo al vino, si fanno affascinare dal brand, ma poi vogliono che dietro ci sia una storia da raccontare». E in Italia? «Noi italiani non riusciamo a fidarci e affidarci. Dello chef sì, ma del sommelier no. Allo chef lasciamo fare senza domande e specifiche sugli ingredienti, a meno che non ci siano necessità, mentre al sommelier diamo poca fiducia.
Capisco che il nostro sia un lavoro molto soggettivo e che abbiano paura di sbagliare vino; ma io devo anche poter fare il mio lavoro, come faccio se ordinate sempre le stesse bottiglie “famose”?».
Descrive il suo servizio così: «da un lato ispirato a quello abbastanza impostato della tradizione francese, dall’altro ci mettiamo la nostra personalità».
Di personalità ne mette sicuramente tanta Sara, per cui la parola fondamentale, quella che ritorna in ogni discorso, è «Passione: come faresti senza? Questo lavoro prende gran parte della tua giornata, e in generale della tua vita. Anche nel tempo libero pensi sempre a quale vino provare o quale ristorante visitare o quale degustazione fare. Devi avere una predisposizione a dedicarci tutta te stessa». Predisposizione che però non è sufficiente, se non ci aggiungi anche l’umiltà e la capacità di metterti in gioco: «Non lavoriamo mai da soli, lavoriamo in un team. Di conseguenza non si può mai perdere la capacità di confrontarsi. È fondamentale la capacità di costruire rapporti e portarli avanti».
Subito dietro c’è lo studio: «Il cliente è interessato se hai una storia in più da raccontargli su come è nato un prodotto, su una scelta fatta in cucina. Nei suoi occhi vedi quel “Wow!” di chi capisce che non è venuto fin sulle colline di Rivoli inutilmente». Il suo servizio ideale è così, impostato ma con le figure in sala naturali, che riescono a rendersi partecipi dell’esperienza con il cliente.
Essere donna ha vantaggi e svantaggi: «Diventa più facile prendere confidenza con il cliente. Però poi è più difficile conquistare la sua fiducia: ma è un ostacolo mentale che si può aggirare con il mestiere. Se grazie a come mi muovo, a ciò che dico, faccio capire al cliente di essere capace, lui si fida e si lascia andare».
(Tratto da “Donne di sala” di Sara Porro, IS#25)