"Al Tuguri" è uno dei ristoranti della Sardegna che ho visitato quest’estate: una caverna di pietra, in una piccola tana a più livelli, gradini ripidi, ambienti piccoli, focolare in vista, pareti strullate, scricchiolii di legno calpestato quasi a confermare tutti gli stereotipi della grotta. Nell’antro ristretto del ristorante di via Maiorca, ad Alghero, bisogna chinare la testa per entrare: il pesante accesso obbliga a un gesto simbolico, a un inchino di ingresso. Bassa, spessa, quasi da immaginario primordiale e archetipico, la porta separa le vie affollate della cittadina sarda da un mondo favoloso e quasi fiabesco: ricorda le immagini descritte nei fantasy di Tolkien, emana uno spirito arcaico, quasi atemporale, profonde un carattere meraviglioso e mitologico. L’aura leggendaria permea le pareti, le geometrie irregolari del locale, le sue altezze e profondità.
Ma si concretizza, più di ogni altra cosa, nel proprietario, un ometto burbero e selvatico, energico, dalla statura piccola, di poche, pochissime parole. È lo chef Benito Carbonella e il suo fare scorbutico, più che innervosire la clientela, accresce l’indole di una dimora gourmet del tutto atipica, diverte e stupisce gli ospiti, meraviglia un pubblico immerso in una dimensione da pellicola cinematografica. Niente è prolisso, ridondante, niente è ciarliero o loquace: né il cuoco, né il suo menu, che è talmente conciso e stringato che nasconde volutamente la ricchezza dei piatti presentati al tavolo.
Sulla carta color crema si leggono “Fantasia di mare”, “Ravioli di cipolla”, “Tuffelas ai gamberi”, “Linguine del dio Nettuno”, “Linguine alla razza”, “Spigola”, “Cozze alla catalana”: al massimo tre parole per ogni pietanza, poi stop. Il menu, d’alta cucina, è praticamente telegrammatico. Nessuna spiegazione poetica, nessuna enunciazione erudita di ingredienti e materie prime, nessuna retorica o ampollosità. La “fantasia di mare” è un insieme di piccoli assaggi: dalla cozza su crema di pecorino sardo, al voulevant di barracuda affumicato, a un’insalatina tiepida di seppie e gamberi. L’antipasto tradisce la semplicità del suo motto e le “linguine con la razza” sono fatte a mano, bicolori e simmetriche: la pasta lunga è l’insieme di due sfoglie di pasta fresca, una delle quali con nero di seppia, condite con pomodorini canditi e filetti di razza.
I sapori sono puri, incontaminati, leggeri e delicati: nessuna spezia, nessun soffritto, nessun condimento sovrasta i componenti freschissimi dei piatti. Benito Carbonella ci spiega che nei suoi piatti non ci sono né cipolla né aglio ma c’è il mare di fuori, la tradizione storica catalana, il pescato secondo le stagioni. Brusco e insieme affascinante, lo chef conferma così, ancora una volta, lo spirito del “Tuguri”: sapori ancestrali e una cucina primordiale nella sua raffinata semplicità.
Info: www.altuguri.it
Scritto da Beatrice Vegetti