Sbruffone, cattivo, spavaldo, copione e invidioso. Ne girano tanti di appellativi sullo chef Ilario Vinciguerra dell’Ilario Vinciguerra’s Restaurant a Gallarate (VA). Ma chi lo conosce veramente? Quante persone possono dire di averci parlato veramente, col cuore aperto e davanti a uno dei mini-panzerotti più buoni che l’alta ristorazione possa offrire? Poche, anzi pochissime persone. E perciò, perché non tacere e lasciare che invece siano i piatti a esprimere l’irritazione forte e megafonata dello chef di Napoli?
Ebbene, io lo conosco e posso dire che l’aria spavalda c’è, ma niente di più. I suoi piatti sono lo specchio colorato e colorito della sua anima, che esplicano con artificio stilistico ed estetico la cucina tipica napoletana più verace e saporita.
In lui i concetti di territorio, tradizione-innovazione, semplicità-concetto, e le altre manfrine da noiosi critici del gusto sono implicite nel suo essere, tremendamente arrabbiato con i gourmet moderni (leccapiedi alessandrini e finti opinion leader da quattro soldi che lo giudicano in modo subdolo), ma sereno e pacifico con la sua meravigliosa cucina.
Ho assaggiato panzerotti e pizze fritte da capogiro pelvico, una ventresca di rombo e olio evo che mi ha fatto rizzare miriagrammi di peli, degli gnocchi alla sorrentina affumicati direttamente dal dio vichingo Odino, i magici Spaghetti alla colatura di alici e crema di scarola affumicata da campione vero. Ma quanto è bravo?
Ho viaggiato con la mia minuscola testa, assai, grazie alla Crema di patata, cioccolato bianco e caviale, perché le papille gustative alternavano dolce e salato, come in adolescenza quando alternavo l’amore per la bionda e per la mora.
Ho avuto bagliori d’entusiasmo spinto con il Morro di baccalà, riso soffiato e latte di provola affumicata. Senza pudore ho fatto la scarpetta (di Cinderella).
Ho apprezzato la cucina buona e cerebrale con il Rombo, indivia e olio al lemongrass, notandone le sfumature e divagazioni del gusto amaro-dolce-ittico-tropicale-balsamico. Che raffinatezza gastro-pornografica!
Sono diventato il Re Mida con l’Oro di Napoli, dessert ormai strafamoso di Ilario Vinciguerra che ripercorre le note gustative della pastiera napoletana (con il tocco aureo che ben si merita questo dolce partenopeo).
Per non parlare della piccola-grande pasticceria a fine pranzo. Da urlo (di Munch).
E per quanto riguarda le stelle Michelin? Considerazione senza scopo di lucro: ma se con la sua cucina eccezionale è riuscito a prendere l’astro gourmet a Galliate Lombardo in un ristorante piccolo piccolo, com’è possibile che ora non riesca a conquistare anche la seconda?
Prima aveva la cucina strabiliante e il locale infimo, ora che possiede un ristorante bellissimo la cucina è diventata paradossalmente infima?
Rob de matt (milanese-lombardo) oppure ‘na pazzia (Napoli e dintorni)…
Novità da non sottovalutare: all’ultimo piano della villa vinciguerresca è stato allestito un bistrot dalla cucina più semplice e una saletta d’ascolto musicale e video-cinetico, provvista di un impianto audio da far ingelosire le più grandi band di metal-rock.
Ilario, continua così che sei forte, alla faccia di chi è sbruffone, cattivo, copione e invidioso di te!