Chef

Lo chef Massimo Mantarro si racconta

La forza del vulcano e l'abbraccio del mare si siedono alla sua tavola, frutto di una costante ricerca volta all'innovazione.
Il suo carattere riservato e la delicatezza nei gesti nascondono la forza della sua cucina, che si svela al Ristorante Il Principe Cerami: è Massimo Mantarro, lo chef siciliano, a raccontare come prendono vita i suoi piatti, tra i ricordi d'infanzia in Sicilia, la visione contemporanea dell'utilizzo della tecnica in cucina e il costante inarrestabile investimento nella formazione.

“Da tutta la vita mi sveglio, prendo il caffè e ammiro la mia terra, la Sicilia, saluto l'Etna e guardo il mare. È una terra meravigliosa, dove sono nato e cresciuto e che ogni mattina mi ricorda la sua forza e l'abbondanza di eccezionali materie prime che sono state parte della mia storia, della mia crescita personale e anche della mia creatività.

Gli “Spaghettoni artigianali Luca Crimi “monte Etna” nascono proprio dal mio caffè mattutino; ho pensato a come portare il vulcano e tutte le sue sensazioni in tavola e non potevo che scegliere un piatto vegetale legato al territorio. Se oggi vai sul vulcano mangi funghi, finocchietto selvatico, ricotta e pomodoro. E sono questi gli ingredienti che ho scelto per creare lo spaghetto al Cerami, inserendo anche il pane, fatto con la cenere, per ricordarmi il giorno in cui a casa mia madre lo preparava.

La “Pasta maritata, pesci di scoglio e verdure di primavera”, la “Panella Palermitana”, il “Calamaro alla pizzaiola” la “Parmigiana 2.0” sono la mia Sicilia, ma anche “Come un quadro di Arcimboldo”, creato con le verdure cotte e crude. Sì, perché la Sicilia è un’isola che da sempre vive di mare e di agricoltura, la carne si mangiava solo una volta a settimana. Credo che, ciò che oggi pensiamo sia una moda, la scelta del vegetale, sia in realtà un fortissimo richiamo al nostro passato. Nel mio menu il vegetale è molto presente perché mi sono ricordato della cicerchia, un legume che mia madre mi obbligava a mangiare da bambino e come tutti i bambini, non volevo farlo. Oggi la cicerchia l’ho resa protagonista.


Non smetto mai di studiare e formarmi, anche ora quando ho delle ore libere leggo, cerco di conoscere nuove tecniche e dettagli della materia prima per innovare la mia cucina. Cerco fornitori, coltivo la rete di contatti che mi permette di utilizzare le eccellenze e i prodotti di nicchia, come il latte della rara capra girgentana, ortaggi insoliti, legumi antichi.
Ho viaggiato e cucinato in giro per Italia e in Francia, prima di tornare qui, dove ho potuto continuare a sviluppare nuove opportunità di crescita anche in altre realtà, pur lavorando al San Domenico. Ho vissuto in prima persona le cucine di diversi Chef pluripremiati ed è nelle loro cucine che ho compreso la loro filosofia rielaborando e creando la mia personale visione.
Ogni tecnica è oggi a disposizione della materia prima per catturarne il “suo perché” e innovare la cucina: come la cottura a bassa temperatura o sottovuoto da cui si ottiene la massima tenerezza dalla carne. O l’uso del freddo come “cottura inversa” al caldo, una tecnica che utilizzo nel mio “Scampo, gamberi rossi, spinaci e porcini etnei” dove il brodo che viene chiarificato a freddo per ottenerne l’essenza senza alcun elemento aggiunto, mentre nella cucina classica si cuoce con l’uso dell’albume.


Cucino da 33 anni e oggi il piatto che più mi rappresenta è il risotto. A 19 anni ho imparato a vivere il riso, a cuocerlo, a sentirlo suonare in casseruola e vederne le elaborazioni dei diversi cuochi, finché ho pensato di creare il mio, interpretandolo come elogio alla Sicilia, dove le sarde sono protagoniste: il “Carnaroli, alicette, finocchietto, pistacchio di Bronte” è nato così, dal sapore intenso delle alici, dal pistacchio e finocchietto dell’isola e dal ragusano che è per noi il parmigiano. Questo piatto, con un elemento così semplice, ma nobile, l'ho sviluppato nei miei spostamenti fin da ragazzo e oggi è uno dei più amati del mio menu al Principe Cerami.” 

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