Antica e antropica crasi tra emilianità e lombardismo, la città di Piacenza ha una natura liminare e fluida mutuata dal Po che le consegna un clima umido e temperato e, negli anni, un temperamento pervicace benché ottimista. Alla Locanda del Falco a Castello di Rivalta, situata sulle sponde del fiume Trebbia, ci si fa abbracciare dai rami nodosi del glicine secolare nell'avvicendamento di un menu tradizionalista e terroiriste, la cui carta dei vini fa bellissima eco. Analoga dedizione la si ritrova però anche in città, e soprattutto a La Taverna del Gusto, tempio seicentesco dove, tra 1400 etichette, spicca una monografia sulle valli enologiche del Tidone, del Trebbia, del Nure e dell'Arda.
Ma non assecondiamo solo il richiamo di vini, spalle cotte e spongate allorché, digradando verso sud, ci facciamo irretire dalla lirica verdiana di borghi come Busseto e Roncole, e dalle maestranze salsamentarie mutuate dal culto longobardo del suino. Ebbene, è a Parma che il lirismo "parmense" lascia il posto a quello "parmigiano": siam giunti infatti nella città di Maria Luigia, l'imperatrice che, degradandosi a duchessa, italianizzò il proprio nome e adottando la città si fece adottare a sua volta, e ne plasmò il volto fino al munifico profilo che gli riconosciamo oggi: anima emiliana ma fervente di un'estetica francesizzante. Ma anche di un metodo e di un rigore selettivo che ritroviamo, per esempio, Da Virgilio in oltretorrente, un locale che affina la sua identità sulla selezione e sulla semplicità della cucina parmigiana quotidiana; più parmense, invece, la proposta de Ai due Platani di Coloreto, coi tavoli ravvicinati preparati con linda semplicità e genuina volontà di pacificare, nell'ospite, la dialettica tra anima e corpo.
Stretta tra il Po, l’Appennino e la Pianura Padana, troviamo Reggio nell'Emilia, una gestazione urbana "unta" dai longobardi, soprattutto, che ivi concorsero ad arginare l’avanzata romana tratteggiando nel territorio la memoria dei suoi invasori. La contemporaneità reggiana, tuttavia, comincia con gli Estensi i quali, per celebrare l’investitura a Duca di Borso d’Este, offrirono alla città un banchetto mai visto, con spettacoli di macchine e artifici scenici e altri più alchemici come l'aceto tradizionale balsamico. È con loro, comunque, che la città corona la sua vocazione per l’agricoltura che ritroviamo nella peculiarità di prodotti come le cipolle di Boretto, le erbette, gli spinaci, le verze e i fagioli, prodotti di cui il reggiano si bea soprattutto all'Osteria Chilometro zero, nomen omen verrebbe da dire, ma anche nella spassosa Cremeria Capolinea, dai gusti sciovinisti come il Cremino Tricolore, omaggio ai natali reggiani della bandiera italiana.
Di Modena, invece, possiamo già dire che, per lungo tempo, la città ha messo a tavola il divario tra miseria e nobiltà. La cucina modenese finisce dunque per identificarsi con quella nobiliare, come nobile, benché nella declinazione della bassa padana e più precisamente finalese sono i manicaretti de La Fefa, dove va in scena una fusion modenese e ferrarese infarcita di influenze longobarde ed ebraiche. Contaminazione, poi, è anche la parola d'ordine dello Spaccio delle Carceri, che strizza l'occhio all'intimo cosmopolitismo della città, rappresentato oggi anche dal genio di Massimo Bottura.
Infine facciamo ingresso ne "la città grassa" per antonomasia, oltre che dotta, s'intende, siamo a Bologna, città di lettere e salsamenterie. Correva l'anno 1907 quando incominciò a girare di mano in mano la vignetta parodistica raffigurante un maiale con uno scolapasta a mo’ di cappello avente, al posto del corpo, una mortadella gigante cinta da una goliardica fascetta su cui stava scritto, in belle lettere, ALMA MATER MAGNORUM, a indicare quale fosse l'autentica vocazione accademica della città. Da allora molto poco è cambiato, e sebbene adesso dalla Maison Krug non chiamino più l'Osteria del Sole per congratularsi degli ingenti ordini, alcuni locali si rivelano tappe imprescindibili per un corretto approccio al territorio. Uno di questi è l'Agriturismo Mastrosasso, dove saggiare pietanze di una bolognesità verace ma tradotta in chiave contemporanea; l'altro invece è L'Emporio, in centro città, una bottega reale, ma anche fantastica, dove testare il sapore di un'emilianità antica ma ancora vivissima.
(Tratto da “Il lato sconosciuto dell’Emilia gourmet” di Andrea Grignaffini, IS#27)