L’arte delle salse: tra immaginario, storia e identità culinaria

Dalle origini antiche alle tavole contemporanee, le salse raccontano l’evoluzione della cucina italiana e il suo modo unico di dare sapore alla storia.
Tempo fa Magritte mise in discussione la natura artistica della dolce silhouette di una pipa. Tale discussione apre le porte a una riflessione altrettanto analoga per quanto riguarda il mondo gastronomico, o meglio, quello delle cosiddette “salse”. Perché la vera domanda è: di cosa parliamo quando parliamo di salse? Di un rimando a qualcosa che realmente esiste o di un’entità che aleggia solo nel nostro immaginario? Una disquisizione che attraversa i secoli, dalle prime preparazioni pestate appartenenti all’antichità, fino alle emulsioni contemporanee. Pare infatti che uno dei primi riferimenti risalga proprio a Columella, che nei suoi scritti parla di moretum, una salsa pestata utilizzata dai contadini romani e composta da formaggio, aglio, erbe aromatiche, olio, aceto e pinoli. 

Preparazione che evidenzia già alcuni elementi fondamentali delle salse italiane: l’uso dell’aglio come conservante naturale, le salse intese come complemento per esaltare il sapore delle pietanze e la lavorazione degli ingredienti nel mortaio. Una tradizione che prosegue anche nel Medioevo, quando l’agliata divenne una salsa essenziale, in particolare nella Repubblica marinara di Genova, usata per conservare il pesce durante i lunghi viaggi via mare. Nel periodo medievale erano comunque frequenti le preparazioni a base di spezie e aceto, come la salsa camelina con la cannella o la poivrade a base di pepe, che combinavano brodi e spezie con addensanti naturali come il pane grattugiato. «Dunque le salse, intese come combinazione di ingredienti vari per creare un sapore da aggiungere a un cibo, hanno a che fare con la dietetica antica, ma che “passa” poi al Medioevo, arricchita dalla cucina e dietetica orientale in lingua araba» insegna Paolo Braconi, archeologo e docente all'Università degli Studi di Perugia.

Con il passare dei secoli, la necessità di conservazione diminuì grazie a nuove tecniche di refrigerazione, e le salse assunsero una funzione sempre più gastronomica ed estetica. Le proporzioni dell’aglio nelle preparazioni pestate si ridussero, mentre aumentarono le componenti grasse come formaggio, frutta secca e olio, per ottenere una maggiore cremosità. Ed è proprio in questo contesto che si è consolidata per esempio la tradizione del pesto genovese, una salsa “pestata”, oggi emblema della cucina italiana nel mondo.

Ma non è forse la Francia, non ancora citata, ad avere codificato il patrimonio delle salse? Alla fine del ventesimo secolo tra salse brune, bianche, emulsionate, calde o fredde i francesi potevano vantare circa un centinaio di salse nella loro cucina… E l’Italia? «Se andassimo alla ricerca di un parallelismo tra questi due Paesi, vicini solo per questioni geografiche, rimarremo decisamente a bocca asciutta. La differenza sostanziale la fa la natura delle due cucine: quella francese, casalinga ma anche gastronomica, che deve la sua ambivalenza alla repentina codificazione di Escoffier, e quella italiana, troppo ricca per raccontarsi nell’essenzialità dell’alta cucina. Quest’ultima infatti corre spesso il rischio di appropriarsi di tratti identitari che non le appartengono, quali ad esempio le fermentazioni. Ed è qui la netta distinzione tra salsa francese e italiana, che vede la prima come elemento a corredo del piatto e la seconda come protagonista del piatto stesso» racconta Giuliano Sperandio, chef ligure a capo del monumentale ristorante Le Taillevent a Parigi. Nello specifico, una salsa tonnata, una di pomodoro o una salsa al pesto non completano il piatto ma lo creano [...]

Estratto di "Ceci n'est pas une sauce" di Barbara Marzano su ItaliaSquisita 52
Published on: 16-07-2025
By: Barbara Marzano