La storia dell'antipasto

Ci si faceva nel peggiore dei casi bastare quel c’era di raffermo e allora nasceva la bruschetta, ci si rivolgeva al mare cogliendone i frutti lungo le coste, affettati e formaggi dominavano nelle pianure, nelle valli, in quota. Ecco senza fronzoli la storia dell’antipasto freddo all’italiana.
Volendo cercare l’origine di quel modo familiare con cui si inizia il pasto, si può risalire a un proverbio popolare citato da Orazio nelle sue Satire pubblicate tra il 35 e il 30 a.C. in due tomi. Ab ovo ad mala, dall’uovo alle mele. E cioè a tavola esistevano già per i Cesari un principio e una fine nella sequenza dei piatti. Si partiva insomma, ai primordi di una certa civiltà, dal salato (o perlomeno dall’agrodolce) per arrivare al dolce. Il canone già allora prevedeva dunque un prima, un durante, un termine. C’erano l’apertura e la chiusura, e in mezzo nasceva la gastronomia.

L’usanza dell’
entrée scomparve nei secoli bui del medioevo sulle tavole grezze dei sovrani gottosi che si riconoscevano esclusivamente in deschi imbanditi con prepotenza. Tutto e subito, senza attendere, privilegiando la vista istantanea di strabilianti e viziose architetture di selvaggina che una volta consumate divenivano una dieta fatale alla reggenza.

C’è voluto l’umanesimo per ristabilire il piacere più salubre di gustare con calma un sapore alla volta restituendo la cucina alle meravigliose riconquiste del Rinascimento. E per fortuna l’antipasto da allora non è più scomparso dalla consuetudine, diventando anzi la norma anche fuori corte non appena il popolo se l’è potuto permettere. Con l’antipasto si mangia troppo e troppo presto. È una disputa interminabile che divide da generazioni le brigate, i critici, i clienti. Un’aporia culinaria che tuttavia si risolve se empiricamente si prende atto che l’antipasto in lista non può mancare.


Estratto di Simone Mosca di "Antipasto: l'inizio della buona gastronomia" nel n°41 di ItaliaSquisita.
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