La sommelier dell'Auener Hof

Gisela Schneider all’inizio appare tranquilla, mansueta nel suo volteggiare con calici e bottiglie, e rilassata nel gestire la sala del suo Auener Hof in Val Sarentino. Poi, osservandola bene in servizio, sembra avere cento occhi azzurri, tutti perfettamente concentrati su ogni singolo commensale in sala. Nonostante infatti sia una bella donna, educata, sempre sorridente e gentile, la sua attitudine professionale è densa di velocità, potenza, nerbo. Non le sfugge nulla, i suoi ragazzi di brigata la seguono ubbidienti, l’ascoltano con attenzione quando descrive i vini naturali dei piccoli viticultori della zona, sua vera e profonda passione.
Gisela ha 41 anni ed è nata proprio a Sarentino. È l’unica femmina di tre fratelli (Heinrich lavora con lei al ristorante, in cucina, mentre Walter ha un suo maso con cavalli e un agriturismo) e fin dall’infanzia la natura è sempre stata per lei importante: «Andavo spesso nel bosco con Heinrich a cercare funghi, erbe per infusi, a prendere il crescione dal sapore intenso vicino ai fiumi in primavera, quando incominciava a sciogliersi la neve. A mezzogiorno non avevamo tempo di pranzare, eravamo sempre fuori con un panino improvvisato. Anche in vacanza eravamo legati al sentimento della natura: coi nostri genitori siamo andati per esempio nella campagna bretone, in tenda, per pescare i branzini giganti».

In casa Schneider il padre ha sempre lavorato nell’edilizia, mentre la madre e il resto della famiglia hanno gestito l’albergo/ristorante
Auener Hof. Gisela è dunque nata e cresciuta nella ristorazione e nel mondo dell’accoglienza, fin da piccolissima. «Durante l’adolescenza tutto era sempre molto complicato, e nel mio caso specifico stavo vivendo una particolare crisi culinaria, ero preda del “solo bistecca e insalata”». A 16 anni però, mentre studiava ragioneria, è andata dal compianto grande chef Giancarlo Godio, per festeggiare l’anniversario dei suoi genitori, e questa esperienza è stata davvero importante per lei, una svolta nei confronti dell’universo enogastronomico. «Nel 1996, mentre studiavo per diventare ragioniera, mi sono fermata un’estate ad aiutare l’albergo/ristorante di famiglia; nel frattempo, Heinrich era già tornato a Sarentino, dal 1992, anche perché la situazione economica non era delle migliori e quindi c’era da prendere in mano la gestione dell’Auener Hof. Io allora, parallelamente a mio fratello, decisi di iscrivermi a un corso parauniversitario dell’istituto alberghiero (con indirizzo maggiormente rivolto al management), passando due anni a Merano e poi uno di stage in Francia». Gisela stava incominciando, senza saperlo, a investire sul suo avvenire e su quello dell’azienda di famiglia. Subito dopo è partita per la Germania stellata, a Brema, dove ha lavorato in sala assumendo via via diversi ruoli di rango. «Nel 1998 ho infatti preso in mano l’Auener Hof con mio fratello e abbiamo optato, di comune accordo, di dirigerci verso una ristorazione gourmet. Allo stesso tempo ho deciso di approfondire il mondo del vino e della sommellerie, anche perché volevo alzare il tiro della mia personale conoscenza enogastronomica».

La nostra ristorazione è dunque innata, abbiamo rimboccato le maniche e imparato tutto da soli. Forse sono stati i folletti dei boschi ad aiutarci?» Gisela, come maestro sommelier AIS, ha avuto Erwin Blaas, di vecchio stampo, eleganza obbligatoria e arroganza vietata, incline ai vini buoni e meno blasonati: «Secondo lui, per imparare, bisognava assaggiare tutto per l’evoluzione del palato. Con mio marito Karl ho poi completato la formazione e l’esperienza, assaggiando tanti vini di diverse provenienze. Grazie a loro due mi sono veramente addestrata: ora mi piacciono i vini eleganti, non troppo morbidi e con grande mineralità, più Barolo meno Amarone insomma.
Adoro i vini austriaci, ricchi appunto di mineralità e personalità. Ho imparato a far degustare molto spesso vini sconosciuti di piccolissimi produttori (che ogni stagione ottengono al massimo 2000 bottiglie), poiché mi seduce la particolarità dei vini unici. In carta tuttavia ho pochi vini biologici e naturali, perché spesso sono scostanti (tranne un piccolo produttore qua vicino che vinifica in anfora)».

Mi piace far assaggiare all’ospite vini particolari e sconosciuti. I piccoli viticultori hanno differenze tra annate, e mi piace molto questo, ma dal punto di vista della proposta alla clientela è assai arduo. Nel complesso sono molto contenta della situazione enologica nella mia regione: tanti giovani in Alto Adige hanno scelto di “fare” il vino e di non “dare” più l’uva ai grandi produttori. Sono felice che finalmente anche noi possiamo avere varietà e qualità, come nelle regioni storiche come Piemonte, Toscana e Friuli. C’è ancora però molto da fare, c’è bisogno di più lavoro ed esperienza, il biodinamico è difficile da attuare e da far partire, bisogna studiarlo bene prima di produrre. Lageder e Manincor lavorano alla grande, ma sono anni che stanno spingendo nella direzione giusta.

Le parole di Gisela fanno da cornice teorica alla cantina vera e propria, in cui vivono floride 1000 etichette in lista, soprattutto dall’Alto Adige, e poi anche altri ottimi vini italiani (famosi e meno famosi), altri dall’Austria, Germania e Francia. Ultimamente c’è un nuovo interesse da parte della sommelier per i vini dell’Armenia, poiché sta sviluppando una sezione solo sulle bottiglie prodotte in montagna. E le combinazioni con i piatti del fratello Heinrich?
«Gli abbinamenti non sono facili, lui cucina con erbe selvatiche, che hanno un fondo amaro che aumenta anche la sensazione di acidità, quindi ci vogliono vini più morbidi e meno aggressivi. Gli Spaghetti al lievito con achillea e asperula sono abbinati a un vino Sylvaner invecchiato solo in parte in legno di acacia, che offre un profumo leggero di erbe fresche e tagliate; la Pralina di carrè affumicato con esterno di cenere di erbe di montagna mi ha creato non pochi problemi, la cenere è un asfaltatrice in fatto di profumi, e alla fine ho trovato una splendida combinazione con un Gewurztraminer...»

Oggigiorno il servizio vincente è quello in cui l’ospite si sente rilassato, il servizio classico, finto e impostato è ormai al capolinea.



(Tratto da “La sommelier dei boschi”, di Carlo Spinelli, IS#26)

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