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La nuova cucina romagnola di Pier Giorgio Parini
Fantasia e idee fulminati, ironia e provocazione, ma soprattutto la Romagna a 360°: questa la giocosa rivoluzione culinaria di Pier Giorgio Parini.
L’Emilia Romagna è una terra misteriosa, da sempre ricca di golosità tradizionali e itinerari d’alta cucina. Patria d’artisti e musicisti, ora la regione è anche meandro di chef cerebrali, perché le fondamenta del gusto regionale, come il Parmigiano Reggiano, le paste fresche e gli strabilianti salumi, hanno dato l’avvio a interpretazioni personali della cucina tipica del territorio. A Torriana, sulle colline limitrofe a Sant’Arcangelo di Romagna, c’è un luogo dove il cervello può proprio rincominciare a pensare e a immaginare una nuova cucina romagnola. Grazie a quel “povero diavolo” di Pier Giorgio Parini.
Nato a San Mauro Pascoli, in provincia di Rimini, Pier Giorgio Parini è arrivato all’"Osteria del Povero Diavolo" quasi per caso:«Da sempre mi piace mangiare e godere dell’atmosfera del ristorante. Aspettare le pietanze a una a una, adagiarmi in chiacchierate goderecce davanti a una bella bottiglia e soprattutto trovare un posto accogliente dove alienare il cervello, stanco della routine quotidiana. Ero solito trascorrere questi momenti proprio all’“Osteria del Povero Diavolo”, e per questo Stefania e Fausto Fratti, padroni di casa, mi hanno proposto di venire qui a Torriana, per prendere in mano la cucina dopo la partenza di Riccardo Agostini. Un posto accogliente, a due passi dal mio paese, in cui potessi attuare la mia filosofia culinaria. Cosa potevo pretendere di più?».
In effetti l’“Osteria del Povero Diavolo” è l’opificio di cucina potenziale più intrigante e intellettuale della nuova generazione di chef, in cui l’estro e la frizzante tradizione gastronomica di Romagna si fondono a meraviglia. Avventurarsi tra le erbe aromatiche, avventarsi nei colori degli ingredienti proteici, avvalersi dei sapori tsunamici delle verdure dell’orto: ecco il prezioso percorso di Pier Giorgio Parini.
«La mia cucina non cambia, segue sempre il filo conduttore del territorio e del gioco. Quello invero che cambia è l’avventore, chi riceve il piatto. Le persone sono curiose e mi piace condividere il pensiero, giocare. I miei piatti dividono - questo lo so - perché vanno analizzati sia col cuore che col cervello. Mi spiace che un mio piatto lasci indifferente. È come camminare per strada e vedere un animale in vetrina tagliato a metà e sanguinante: le persone si devono emozionare a tale spettacolo, non possono rimanere insensibili e noncuranti. Parimenti vorrei che la sensibilità del commensale venisse fuori davanti alle mie creazioni, magari vedendo e assaggiando il mio Carpaccio rosso sangue!».
Carlo Spinelli
L’intero articolo sul numero 10 di ItaliaSquisita
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Foto di Cristian Parravicini