La mixologia gastronomica

Liquori, distillati, fermentazioni, osmosi, germogli di cactus: Matteo Metullio, Matteo Di Ienno e Dario Comini raccontano la ratio della loro alchimia gastro-mixologica.
Dall’ Harrys’s di Trieste al Locale di Firenze, per poi giungere all’iconico Nottingham Forest di Milano, un percorso alcolico volto a cercare il solido celato nella liquidità. Ecco il viaggio di ItaliaSquisita attraverso i segreti della miscelazione contemporanea.

“Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza” recitava il Padre della lingua italiana; e per non viver come bruti, bisogna conoscere.
La mixologia negli anni si è quindi intrisa di sapere (e di sapore) sconfinando nel mondo gastronomico, al quale una volta era estranea. Pairing mixologici, tecniche innovative, ripresa della tradizione, drink list che seguono la stagionalità sono soltanto l’incipit di questa nuova visione del buon bere.

All’Harry’s di Trieste l’importanza data alla mixologia è d’immediata definizione, basti pensare che il bancone del Bar è l’originale voluto da Arrigo Cipriani nel ’72, «il cliente si aspetta come prima cosa il tradizionale Spritz veneziano» dice sorridendo Matteo Metullio, il giovane chef resident.
Ma la nota gastronomicamente alcolica dello cuoco triestino è ben nota da tempo «Sono un grande amante del vino e dei cocktail. Solitamente il drink non si sceglie perché né la carta né il servizio vengono supportati adeguatamente, tanto in sala quanto dietro il bancone del bar.
Già alla Siriola in Alta Badia proponevamo una selezione di coktail au table con un guéridon attrezzato: sei fra classici e aperitivi e in alcuni passi del menu degustazione proponevamo un cocktail pairing, sempre eseguito davanti al cliente». 

Nel quartiere nobile di Firenze, fra le mura cinquecentesche di Palazzo Concini, il Locale è il parco divertimenti alchemico del bartender Matteo Di Ienno. Il suo laboratorio sotterraneo apre infinite possibilità di degustazione e fra macchinari futuristi e ampolle tutto risulta perfettamente rarefatto. Ciò che colpisce immediatamente è la capacità di Matteo di celare la componente materica nei drink. «Facciamo una variante del Whiskey Sour dove al posto dell’albume usiamo come addensante la pasta e come topping burro e pecorino. Sicuramente calorico, ma funziona molto bene: mettendo in sous vide il whiskey con la pasta tiriamo fuori il glutine che conferisce una particolare texture al distillato e ci permette di ottenere la schiuma tipica dei sour». 

Il Nottingham Forest, creatura meneghina di Dario Comini e dei suoi soci, dal 1970 è la roccaforte del bere contemporaneo. «In questi cinquant’anni ho visto passare sotto ai miei occhi tutta l’evoluzione della miscelazione. All’inizio era appannaggio di pochi, di coloro che avevano viaggiato. Il consumatore medio si rivolgeva invece ai paesi vicini, come Inghilterra o Francia e quindi i cocktail che andavano per la maggiore erano i 50 A.I.B.E.S.».
Con l’avvento della globalizzazione tutto è cambiato, la richiesta è diventata sempre più esperta: nuovi ingredienti, nuove tecniche, nuove evoluzioni e la necessità di tutti i mixologist di mantenersi al passo continuando a studiare, a viaggiare e a lavorare all’estero.

Anteprima di "Rinascimento Alcolico" di Marco Polizzi IS n°36

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