La cucina ancestrale di Grow

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Albiate è un piccolo comune della "Brianza Centrale", cuore della provincia di Monza e Brianza e al tempo stesso snodo, collegamento e periferia incastonata tra il polo lariano e quello milanese. Proprio il centro e la periferia, e il loro rapporto di interconnessione ed esclusione che li definisce, sono concetti che ci torneranno utili nel decodificare e descrivere quello che due fratelli hanno seminato e stanno facendo crescere a due passi dal corso del Lambro, uno dei tre fiumi della Brianza, altro simbolo duale che è confine e connessione allo stesso tempo.

Albiate è quindi un luogo centrale, eppure remoto, prototipo della Brianza forte delle proprie tradizioni e della propria identità e anche per questo refrattaria in un certo qual senso alle mode e alle tendenze, ma gioco forza poco permeabile anche al loro corrispettivo nobile: il cambiamento.
Proprio per tradizione, per uso antico, la ristorazione qui per molti è un diversivo: andare al ristorante è spesso un pretesto per la convivialità, per lo stare insieme. L'aspetto sociale è di certo una delle caratteristiche più proprie, originarie e pregnanti del rito del cibo e forse la ragione principe per la nascita di quell'amabile cosa che chiamiamo "ristorante"; questa particolare postura dell'attenzione comporta però un ridimensionamento dell'importanza attribuita al piatto che diventa così principalmente un dispositivo sicuro grazie al quale celebrare il rito sociale.

Ecco, in un luogo come questo capita che due ragazzi, due fratelli born and raised in Brianza, decidano di aprire un ristorante che si chiama Grow, un progetto al cui centro ci sono dei piatti, piatti in cui convergono innumerevoli rivoli che attraversano lo spazio e il tempo per diventare il nodo di un'esperienza tutt'altro che convenzionale. Per chi la crea e per chi la riceve.

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Abbiamo parlato di due ragazzi e intendiamo letteralmente perché i fratelli Vergine, Matteo, chef, e Riccardo, maître e sommelier, hanno rispettivamente 26 e 30 anni e hanno iniziato questa avventura nel giugno del 2020 mostrando un coraggio e una chiarezza di idee che, almeno in potenza, sono prerogativa della gioventù. Il coraggio e le idee, per divenire atto, camminare e crescere, devono poi esser sostenute da disciplina, etica e concretezza: proprio il connubio che si delinea guardando il progetto Grow da un passo di distanza.
Le idee sono: il territorio, la storia, la sostenibilità. Parole tanto abusate da esser divenute consunte, si penserà. È vero, ma il coraggio giovanile è quello di assumerle e portarle sino alle estreme conseguenze ed è questo che i fratelli Vergine si allenano a fare ogni giorno nel loro Grow.

Il territorio infatti fa irruzione per intero: il pesce è d'acqua dolce perché viene dai laghi lombardi e la carne è sola cacciagione dalla terra che quei laghi circonda, con un'attenzione ferrea alla qualità e alla tracciabilità grazie alla collaborazione con Le Carni del Bosco, pionieri della filiera per la certificazione, valorizzazione e commercializzazione delle carni selvatiche italiane; mentre i vegetali vengono dall'orto dei fratelli o da piccoli produttori locali, oppure dall'attività di raccolta delle erbe spontanee, l'alimurgia per dirlo con voce démodé, che i due fanno con dei loro collaboratori nei dintorni di Albiàa.


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La storia si presenta nelle tecniche e nei punti di partenza dei piatti: cotture alla fiamma e alla brace, fermentazioni, conserve, garum, frollature che convergono nelle rielaborazioni di missoltini, avvolti in un cannoncino di patate, mondeghini, che per l'occasione racchiudono collo di daino, risotto alle erbe selvatiche mantecato con il fatulì, formaggio di capra quasi scomparso della Val Saviore, e del coniglio alla milanese, dove dell'animale, sempre selvatico, si utilizza il rognone abbinato a una crema di limone ossidato, ceci caramellati e purea di prugne selvatiche che attendono pazienti in conserva da un anno.

Procedendo lungo questa successione di idee e azioni la sostenibilità appare come una naturale conseguenza. Con qualche piccolo aiuto dalla tecnologia. L'impiego del gas viene eliminato grazie a fuoco e brace coadiuvati da due piastre a induzione alimentate con energia elettrica da fonti rinnovabili. La filiera corta, o ancora meglio l'autoproduzione e la raccolta, sono pratiche a bassissimo impatto così come l'impiego di pescato locale e cacciagione eliminano alla radice l'allevamento e le sue note problematiche. Aggiungiamo che una porzione dell'orto di Grow è parte di un progetto in collaborazione con Regione Lombardia e diverse associazioni di volontariato così che al suo mantenimento provvedono persone disagiate, affette da disabilità o ex carcerati in cerca di occupazione.
Questa attenzione capillare alla sostenibilità è stata premiata con la Stella Verde Michelin 2024.

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Ora, dopo aver osservato le idee che generano e sostengono il progetto, possiamo fare un passo avanti ed entrarci per venire accolti in un ambiente essenziale e soffuso, dove richiami alle materie tipicamente mediterranee, come il legno d'ulivo dei tavoli, equilibrano il mood più nordico dei colori e dell'illuminazione creando un contesto rilassante e intimo che invita a lasciare alla porta il mondo di fuori.
Il servizio è interamente curato da Riccardo che si muove sicuro e attento tra i cinque tavoli del locale, gestendo con sensibilità il registro del rapporto con l'ospite, sempre cordiale e pronto al racconto appassionato, mai invadente.
Il racconto. Grow non può essere una ristorazione come diversivo anche perché i piatti calamitano l'attenzione e l'esperienza è tanto coinvolgente e ricca da non essere solo l'esito di un racconto, ma anche la sua fonte, il suo oggetto. È cucina da mangiare, ma anche da pensare, da dire. Non solo detta e pensata.

I piatti di Matteo sono frutto evidente di lunghe ricerche e di una spiccata propensione alla sperimentazione mai fine a sé stessa.
Nomi e preparazioni possono intimorire un ospite poco avvezzo a lasciarsi sorprende e portare in territori ignoti, ma il risultato che troviamo nel piatto riesce sempre ad avere una sua parte confortevole al palato.

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Esempio lampante è il colombaccio presentato nelle sue tre componenti: il petto scottato su brace e coperto dal paté delle sue interiora, la coscetta disossata e condita con erbette sottolio mentre il filetto marinato in garum e brandy, con contorno di radicchio alla brace, condito con riduzione di birra, funghi pioppini e cavolo viola fermentato. Un piatto sontuoso che esplora ogni possibilità gustativa della carne della selvaggina, non relegando mai la sperimentazione a elemento ingombrante o fine a sé stesso. Altro esempio di perfetta sintesi tra avanguardia e tradizione è il dessert: un'inedita nespola fermentata sotto paglia e farcita di parmigiano. Il risultato è di un dolce da mangiare con le mani, lasciandosi catturare dalla miscela di crumble di mandorle, pepe di Seichuan, cacao, sale e burro.

Se immaginassimo la totalità delle possibilità gustative come una serie di cerchi concentrici potremmo porre al centro assoluto, e nei suoi dintorni, la nostra zona di comfort, l'abituale, una zona che può essere più o meno ampia a seconda della nostra esperienza, e forse anche della nostra sfacciataggine, mentre man mano che avanziamo verso la periferia troviamo l'insolito e a qualche passo da lì, l'ignoto.
A questo punto dobbiamo visualizzare la proposta di Grow muoversi proprio lungo il raggio delle possibilità gustative ponendo il proprio centro nella periferia della nostra esperienza consueta, o poco più in là, senza prendere una tangente irraggiungibile, ma intersecandosi e sovrapponendosi ad essa invitandola così a espandere la propria superficie.
Che poi lo scarto tra queste due esperienze sia dato da un movimento nel tempo e nello spazio, il recupero della radice di un territorio e la traslazione di tecniche e materie prime antiche nel presente, è la forza di una metodologia che appare fertile humus per una crescita rigogliosa.

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Questa esperienza viene proposta in diversi menu degustazione, via via più complessi: "Da qui", l'inizio del percorso di conoscenza dell'universo Grow, attraverso le tappe fondamentali della sua costruzione; "Tra i boschi", menu venatorio che scava nella profondità dei sapori e "Oltre la fortesta", il menu più complesso dove ci si mette completamente in mano allo chef che crea un vero e proprio deep dive nel cuore dello stile Grow.
Non è possibile cenare alla carta, sia per la particolarità della proposta basata su materie prime la cui disponibilità varia quotidianamente, che per il desiderio di realizzare sempre esperienze di altissima qualità sebbene con una brigata essenziale.

Ciò che accade per i piatti vale anche per la carta dei vini: Riccardo si appassiona, si diverte pure e si vede, in una ricerca accurata di produttori ed etichette che si pongono, per terroir, filosofie e modalità produttive, spesso al margine delle denominazioni e delle tipicità dandoci una visuale fresca e talvolta sorprendente sul già sfaccettatissimo mondo del vino italiano.

Il progetto Grow rappresenta una sfida, una sfida appassionata e gioiosa che Matteo e Riccardo hanno lanciato a sé stessi e in qualche modo anche al territorio che li circonda. Una sfida lanciata con umiltà e dedizione, che, come l'opera delle cosiddette piante pioniere, se da un lato mira alla crescita di sé stessa, dall'altro lavora per trasformare con pazienza e fiducia l'ambiente che la circonda.
Una sfida cui è un sorprendente piacere assistere e soprattutto partecipare.

Ph: Lido Vannucchi

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